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Concepita per il centenario della Cgil, l'opera va molto al di là del catalogo della mostra omonima, che ha chiuso le iniziative per i cento anni del più antico sindacato italiano, per la cui occasione è stata realizzata. A fare la differenza non sono solo la ricchezza e la varietà delle fonti iconografiche, ben al di là di quelle che è possibile visionare nell'esposizione, ma soprattutto la presenza di approfonditi saggi che corredano i due volumi. L'ambizione dichiarata, che ha richiesto tre anni di ricerca sulle fonti, consiste nel "cogliere i segni visivi che i lavoratori hanno impresso nella memoria collettiva lungo il corso dei centosessanta anni di storia italiana, quelli che ci separano dalla nascita delle prime Società Operaie di Mutuo Soccorso", con particolare riferimento a quei movimenti più prossimi alla vicenda organizzativa e ideale di questa confederazione, come chiarisce Luigi Martini che dedica il saggio introduttivo a L'irruzione delle classi lavoratrici nella storia.
L'emergere di una nuova classe sociale sulla scena pubblica è tratteggiata attraverso una ricognizione che descrive il farsi del movimento operaio a partire dal corteo, la manifestazione operaia per eccellenza; tema, insieme allo sciopero, di forte ricorrenza nel linguaggio iconografico del movimento sindacale e di cui il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo costituisce l'idea archetipica. Ma a fianco del "corpo del lavoratore", nell'insorgenza di nuovi simboli, trova presto spazio il "corpo dell'apostolo", capopopolo o leader carismatico, che nei tornanti drammatici della storia si fa "martire", in una trasfigurazione che cela la sua origine religiosa, così come la festa del lavoro, istituzionalizzata dal nascente movimento operaio, racchiude, come ci ha ricordato Adriano Prosperi in uno studio sulla preistoria del Primo maggio, una più arcaica Pasqua dei lavoratori.
Il saggio della storica dell'arte Giovanna Ginex, La comunicazione visiva dell'associazionismo e del movimento operaio e sindacale (1848-1957), documenta come l'immagine dell'operaio, alla fine dell'Ottocento raffigurata ancora rivestita da abiti, si trasformerà nel Novecento nel busto denudato e muscoloso, fino al simbolismo più allegorico, in cui la sola presenza dell'incudine prima (e della falce e martello poi) staranno, parte per il tutto, a significare il lavoro. Se il saggio di Ginex arriva cronologicamente al 1957, anno della morte di Di Vittorio, quello di Stefano Cristante, Dalle icone di classe ai frammenti mediali. Le immagini del lavoro nell'Italia del secondo Novecento, abbraccia la seconda metà del "secolo breve", in una prospettiva in cui la comunicazione del lavoro e la sua ricostruzione storica si allargano ai nuovi campi della tv, della satira e del fumetto, dei manifesti, ma anche del film e del documentario, della stampa sindacale (con un'ampia selezione delle copertine di "Lavoro", lo storico settimanale della Cgil che negli anni cinquanta provocò spesso malumori nella Confederazione per la sua propensione a scandagliare temi non prettamente sindacali e attinenti il tempo libero), come pure dell'abbigliamento da lavoro. È un'epoca in cui, quanto più ci si avvicina alla sua fine, la comunicazione del lavoro si intreccia con l'"industria culturale", forma dominante nel campo dell'informazione e dell'intrattenimento di massa, in una contaminazione reciproca che muta, anche antropologicamente, l'iconografia del lavoro. Così la tuta blu, strumento di irreggimentazione del lavoro entro l'istituzione totale della fabbrica, diventa, negli anni settanta, simbolo della forza della classe operaia.
Della documentazione iconografica conservata presso l'Archivio centrale dello Stato si occupano gli interventi di Aldo Ricci e di Mariapina Di Simone, il primo sul mondo del lavoro e il secondo sul movimento sindacale. Le fonti iconografiche, fotografiche e non, costituiscono, com'è noto, un repertorio le cui potenzialità sono in parte ancora da sviluppare: lo dimostrano i 160.000 fascicoli del Casellario politico centrale, che va dal 1896 al 1943, già Schedario dei sovversivi, il repertorio delle immagini di industrie dell'Ufficio storiografico della mobilitazione industriale o il Fondo della mostra della rivoluzione fascista, comprendente documenti, foto, volantini, manifesti, giornali che abbracciano il periodo che va dal 1875 al 1942, all'interno del quale compaiono le bandiere sovversive (trofeo dei fascisti all'inizio del ventennio e simbolo di un movimento operaio sconfitto) viste ormai quasi trent'anni fa nel documentario di Paolo Gobetti, Un'altra Italia nelle bandiere dei lavoratori.
Impossibile ricordare tutti i numerosi contributi, ma una menzione va fatta per il saggio di Antonio Medici sul tema del lavoro nel documentario italiano. A valorizzare l'opera contribuiscono infine le centosessanta pagine di inserti monografici in sedicesimo. Nino De Amicis
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