Chi si aspetta di leggere una classica storia di Roma in sonetti, come decine di altre, rimarrà deluso. Questa di Biavati è non solo uno studio storico ma anche un esercizio letterario di pregio. La composizione poetica di Marco Biavati, che celebra la storia di Roma, non è di immediata comprensione da chi non abbia una preparazione culturale almeno discreta. Si tratta, è vero, di poesia dialettale, e di un dialetto, il romano – romanesco, che è da sempre ritenuto il più simile all’italiano e il più comprensibile dal Nord a Sud. Ma c’è dialetto e dialetto. Come sappiamo, Belli non è altrettanto comprensibile di Pascarella, né Zanazzo è altrettanto scorrevole di Tilussa. Biavati scrive il suo dialetto romano con la stessa ricercatezza con la quale versifica in lingua. Vocaboli inusati o disusati non difettano nel contesto, lemmi colti o rustici, adottati con stile personale ed inconfondibile, caratterizzano il racconto instaurandovi spesso un’aura di ricercata vetustà classicheggiante. Non si tratta dunque di un testo che scorre rapido e semplice: si tratta invece di uno studio complesso e curato, che deve essere letto, riletto e assimilato per poterne degustare appieno la raffinatezza. Lo stesso valga per la costruzione sintattica e morfologica, ma ancor più per i richiami storici e i collegamenti temporali, tutti elementi caratteristici della tecnica compositiva di Biavati, il quale ostenta, senza darlo a vedere, una cultura generale degna di nota, ma ancor più, in particolare, una conoscenza rara della storia romana. La storia di Roma scritta da Biavati non è solo un poema epico: è un vero e proprio trattato, un saggio storiografico ricco di richiami, di aneddoti, di connessioni, con una assoluta precisione nei nomi, nei tempi e nei luoghi. Gli svolgimenti cronologici dei fatti e le storie dei protagonisti con i loro intrecci rendono questo poema istruttivo senza essere scolasticamente ostentato; la lettura sa essere divertente quanto drammatica e non mancano i riferimenti a tempi più a noi vicini. Infatti, questa è una delle caratteristiche dello scrittore e poeta Marco Biavati, nella serietà e nella precisione del racconto non difettano l’ironia, la satira, talvolta il sarcasmo, elementi tipici della romanità dell’autore. Ma, tornando alla complessità del testo, occorre talvolta – e non è male – munirsi di vocabolario per qualche termine o qualche espressione non troppo comune. Ci vengono in aiuto le numerose (per fortuna) note esplicative, anch’esse importante complemento del testo, tramite le quali potremo sapere il significato di “biforchetto” oppure di “chicchirimella” o di “mastramuccio” o di “sgrignappola”, che certamente non troveremmo nei vari lessici ufficiali. E anche tra i più appassionati di cose romane, ci sarà chi ignora o non rammenta dove si trovino le “Grotte di Caco”, oppure chi siano “li Pinari e li Potizzi”. E c’è qualcuno tra i lettori che saprebbe dare notizie di Plauzio Proculo o di Cornelio Publio Scapula? Ma oltre a nomi e luoghi, è importante la trattazione dei fatti con le loro spiegazioni storiografiche, e anche, talvolta, con le interpretazioni dell’autore che simpaticamente smitizzano un’epopea riconducendola a fattori umanissimi, terreni e magari di modesto rilievo. Un testo, dunque, che è una continua scoperta in ogni sonetto e che si preannuncia senza fine.
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