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La Roccia viva è una discesa impervia e tormentata che tiene fatalmente legati al filo della corda di una trama coinvolgente e intrecciata. È una discesa verso la meta di ognuno dei tre protagonisti, un percorso di deflazione lungo le pareti rocciose di una montagna dove l'uomo, più che tentare di conquistarla ed ergersi con il suo ego borioso e sfruttatore, non può che affidarsi alla sua stabilità e imprevedibilità. La montagna accoglie e ammalia, decide e inganna, è materia, è roccia. E quella roccia è punto di partenza e approdo del cammino di Chiara, Michele e Rudi, tre ragazzi quarantenni della Milano da bere che l'occhio discreto dell'autore ci fa conoscere di soppiatto, la cinepresa del suo sguardo ci fa entrare con discrezione nelle loro vite. Li incontriamo quasi per caso mentre, per esempio, una domenica mattina percorriamo in bicicletta una silente e ghiacciata via Palestro. Ma non per caso si impongono alla nostra attenzione, stagliandosi sullo sfondo di Milano e delle Alpi, perché le parole di Matteo Sartori disegnano appassionatamente quei tre ragazzi, dipingono l'animo umano sempre connesso all'anima dei luoghi, della storia e del nostro tempo presente. L'autore cammina insieme ai suoi personaggi, li guarda e si lascia guardare da loro. Il suo è un punto di vista in movimento, ha la capacità di "salire sul dorso della tartaruga" che,secondo la famosa teoria indiana della molteplicità dei punti di vista, permette di vedere l'universo attraverso gli occhi di chiunque venga messo sopra la tartaruga. Un narratore dai molteplici volti che ogni volta riesce a rendere ogni storia e ogni sguardo interessante grazie allo "shifting viewpoint",al suo sguardo mobile. E alla fine, credo sia la discesa ciò che conta, la caduta sulla roccia che impone una sosta alle vite sfrenate che corrono impazzite verso il vuoto accecante del nostro tempo. Una caduta che può portare alla distruzione, alla scoperta della propria ciascunità o a una nuova rinascita.
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