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L'inumano può avere voce? L'inverosimile può colare dalle stimmate dell'estremo e farsi lento tremito d'inchiostro, ferita affidata a un letto di versi e di prose? Lazzaro (l'eco del personaggio evangelico è chiara) torna alla vita dopo tre anni a Mauthausen, e ci prova "attraversando quella sventura che lo ha reso straniero", quella spaventosa indigenza sensibile di fronte alla quale ogni alfa e omega del senso sono annientate, impermeabili ad ogni soglia di ragione, ad ogni luce di coscienza. Dove si torna, in quale luogo, dopo esser stati lì, al centro della glaciale malvagità umana? Leggiamo: "L'eroe lazzariano non è mai dove si trova. . Deve compiere un immenso lavoro di riflessione, pensare che si trova là e non altrove, che ha vissuto in un mondo che non si trovava da nessuna parte e le cui frontiere non sono segnate, perché son quelle della morte. Diffida sempre del posto in cui è appena arrivato". L'insofferenza ormai onnipresente, lo squarcio sui broccati dell'anima che suona d'irrimediabile; forse la parola, un grumo umilissimo e stentato di parola può violentare l'inaudito e porsi all'ascolto, in quella faticosa possibilità di sognare una testimonianza che è anzitutto il canto di chi vuol essere amato, ritrovato a un margine di presa con la bontà e il miracolo delle cose: "Pensiamo agli dei che non hanno trovato/ che un po' di lacrima sulla guancia/ all'eternità dei corrucci/ al nuovo sangue rosso sfatto". Siamo in buona sostanza nel cuore di un diario la cui cifra morale è una gemma d'assoluto. Il grido e il gesto di una letteratura, come la definisce lo stesso Cayrol, "della misericordia, una letteratura che salvi l'uomo". Pagine sconvolgenti, un dolore presente e sempre aperto, perché "la speranza chiede uomini riconciliati, uomini che non risistemano i bagagli ogni giorno per preparare una nuova fuga". Le spine della memoria qui rendono dono di fioritura ogni pensiero calpestato dal male. La vittima vera sa diffondere luce.
Recensioni
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Autore di una trentina di volumi, Jean Cayrol (1911-2005) è più noto in Italia per aver scritto la sceneggiatura di due film di Alain Resnais Nuit et brouillard (1956) e Muriel (1964) che per la sua opera di poeta, narratore e saggista. Due suoi romanzi sono stati tradotti da noi: nel 1963 I corpi estranei da Lerici, nel 1970 Mezzogiorno mezzanotte da Rizzoli. Da allora, nulla. Con il gennaio 2008 abbiamo però assistito a un'inversione di tendenza: il Centro studi italo-francesi dell'Università di Roma Tre ha dedicato a Cayrol un colloquio internazionale proprio mentre arrivava in libreria il saggio Il ritorno di Lazzaro. C'è da sperare che sia l'inizio di una riscoperta destinata a toccare un pubblico sempre più ampio.
Quando viene deportato a Mauthausen come resistente, Cayrol ha già pubblicato qualche testo poetico. Nell'inferno del campo, è forse proprio la poesia a tenerlo aggrappato alla vita: i versi che traccia di notte su pacchetti di sigarette e altri supporti di fortuna, sostenuto dall'affetto di un compagno di prigionia d'eccezione, il carmelitano padre Jacques (al secolo Lucien Bunel, poi ispiratore del film di Louis Malle Au revoir les enfants), internato per aver nascosto in un collegio cattolico della provincia francese tre studenti ebrei e destinato a morire, in seguito alle privazioni e ai maltrattamenti subiti durante la prigionia, il 2 giugno 1945. A differenza di padre Jacques e di tanti altri compagni di sofferenze, Cayrol sopravviverà ai tre anni trascorsi a Mauthausen: vivrà ancora molto a lungo, scoprirà, in qualità di direttore delle Éditions du Seuil, romanzieri importanti, come Robbe-Grillet, scriverà molto, in versi e in prosa. Ma tutto quello che scriverà porterà impressa una traccia dell'indicibile che ha attraversato. Roland Barthes dirà che tutti i romanzi di Cayrol potrebbero intitolarsi Ricordi di un malato di amnesia: l'apparente regolarità del racconto dissimula un vuoto, una voragine di oblio che non si lascia localizzare con precisione, ma divora l'esistenza, la cancella progressivamente. Innominabile, l'orrore concentrazionario prosegue la propria opera di distruzione nell'universo di apparente normalità che gli succede: "Nel mondo di Cayrol scrive ancora Barthes non c'è nulla di rovinato, gli oggetti funzionano, ma tutto è diseredato, come quella camera de I corpi estranei che un giorno il narratore scopre nella propria casa, dietro la carta da parati che ricopre i muri, e nella quale gli oggetti del passato (forse perfino un cadavere) restano immobili, dimenticati, incantati senza incanto, a rabbrividire nel vento 'pungente' che soffia dal camino".
Nel Ritorno di Lazzaro Cayrol espone proprio la poetica e l'etica di questa sua scrittura di un reale diseredato. Una poetica che rifiuta ogni consolazione, tranne quella della speranza cristiana in un'umanità "infinitamente riconciliata". "Perché scrive Cayrol nel 1950, ma la sua voce suona per noi vicinissima è facile costruire un mondo dove anche la bomba atomica sembrerà come la Colomba, ma sta a noi difendere la speranza non con le armi in pugno, ma dentro di noi, nel punto in cui è più minacciata, affinché ogni nostro gesto e ogni nostro pensiero sia causa di una speranza". Mariolina Bertini
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