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Un viaggio a Parigi. La mia città del cuore. Silvia, Barbara e Mariangela lo sognano dai tempi della terza media, l'età dei sogni e delle speranze. Adesso che di anni ne hanno trentadue hanno un malinconico rimpianto dell'adolescenza e vorrebbero per un attimo a scordare il presente . Il libro mi è piaciuto molto, è un'analisi dell'animo delle protagoniste che prendono forse coscienze di se stesse grazie ad un viaggio programmato nel momento in cui si pensa di avere il mondo in mano poi si cresce e i sogni si infrangono con la realtà del presente . Questo libro narra un viaggio, nel senso più esteso del termine. Le protagoniste comprendono la realtà e il suo cambiamento dal momento che Manuel, il bambino di Mariangela, si unirà all'ultimo minuto al gruppo per un capriccio. Si narrano le difficoltà della vita riscontrate dalle tre amiche dall'adolescenza ad oggi, ma la Oggero è riuscita ad alleggerire una narrazione tesa al malinconico con tratti di ironia.
Non avevo ancora letto niente della signora Oggero,.. avevo sempre rimandato, chissà poi perchè. Il libro mi è piaciuto molto, è un'analisi dell'animo delle protagoniste che prendono forse coscienze di se stesse grazie ad un viaggio programmato da ragazzine, carico di mille aspettative, Ma il viaggio fatto "da adulte" ,è un'altra cosa e le mette davanti, senza filtri, a cosa sono diventate. Leggerò ancora libri della signora Oggero. Mi piace molto il suo modo di descrivere anime, personaggi e luoghi.
Un libro al femminile, malinconico e triste che si riscatta nel finale con la presa di coscienza delle protagoniste. Non il miglior romanzo della Oggero, comunque godibile.
Recensioni
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Barbara, Silvia e Mariangela: tre trentenni, amiche dai tempi della di scuola, e i loro familiari compongono il “cast” di questo romanzo collettivo. Dico collettivo perché le protagoniste sono senza dubbio loro tre, ma non potremmo conoscerle, interpretarle e comprenderle se non prestassimo la dovuta attenzione anche alla cerchia di fratelli, genitori, amici e pseudofidanzati che le circondano.
Per raccontarci la loro storia l’autrice sceglie una tecnica narrativa particolare, che è quella di farli parlare tutti, dedicando a ciascuno di loro uno o più capitoli. Quelli intitolati con il nome del soggetto che parla sono scritti in prima persona, mentre gli altri capitoli (intitolati il più delle volte al momento narrativo o al luogo dove si svolgono) sono raccontati in terza persona.
Bisogna essere molto bravi per gestire una tecnica narrativa mista, perché il rischio di creare confusione è altissimo, ma Margherita Oggero naturalmente lo è, infatti, nel caleidoscopio delle varie vicissitudini, noi non perdiamo mai di vista il punto centrale, riuscendo benissimo a congiungere le varie focalizzazioni senza che ci sfugga il senso del racconto, anzi arricchendolo con i vari interventi. L’abilità nel gestire le molteplici voci narranti è senza dubbio il grande valore aggiunto di questo romanzo, o, quanto meno, la peculiarità che ai miei occhi lo ha reso così apprezzabile.
Le tre ragazze, unite da un ventennale sentimento di amicizia, decidono di realizzare il viaggio che ancora sui banchi di scuola avevano ideato e preparato minuziosamente, la cui destinazione è Parigi. Il loro progetto però viene rivoluzionato all’ultimo minuto da un intruso che di restare a casa proprio non ne vuole sapere: è Manuel, il figlio di otto anni di Mariangela.
Silvia e Barbara, entrambe single e senza figli, accettano comunque di buon grado di portare con loro il bambino, che si rivela molto poco amabile e capriccioso, trovandosi costrette ad adeguare o modificare i programmi di viaggio in base alle bizze e alle richieste del malmostoso ragazzino.
Ciascuna di loro porta con sé un bagaglio pesante: Barbara ha sulle spalle il destino di figlia indesiderata e mai accettata, essendo sua madre morta in conseguenza al suo parto. Nata dopo i due gemelli Massimo e Valerio, vive l’infanzia subendo le angherie dei due fratelli e ricercando invano le attenzioni e l’affetto del padre – che si è eclissato dopo il trauma della perdita dell’adorata moglie e di conseguenza degli equilibri familiari – e cresce allevata da Giovanna, la sorella della madre, che lei chiama Mammagí.
Silvia invece ha avuto due genitori uniti da un amore inconsueto, fuori dagli schemi, un rapporto disequilibrato in cui la madre fungeva da conduttrice di un programma in cui il padre era sempre uno spettatore passivo. Silvia è una violinista che nonostante la bravura non ha abbastanza talento per sfondare e ha due fratelli, Nicola, pecora nera aspirante attore, e Ilaria, arrivata inaspettatamente quando Silvia era già adolescente e che lei cresce facendo da supplente alla madre in ascesa professionale.
Infine Mariangela, la bellona del trio. La ragazza, abituata con il suo aspetto attraente a catalizzare l’attenzione di tutti gli uomini, dai più giovani ai più anziani, cade sprovvedutamente (ma sarebbe più corretto dire che ci si caccia da sola) nella rete dell’unico maschio che non la considera per niente. Da questa storia univoca, in cui lei è cuoca, commensale e pietanza di un pasto solitario, ricava una gravidanza imprevista – Manuel, appunto – che provoca la fuga repentina del fidanzato narcisista egoriferito, che la lascia scomparendo senza nemmeno la consolazione di un addio.
Il viaggio non va esattamente secondo i programmi e nessuno torna dalla gita parigina identico a quando è partito, perché avrà fatto i conti sia con chi ha lasciato a casa, sia con i compagni di viaggio. Solo durante una convivenza stretta, benché breve e provvisoria come quella di una vacanza, si può avere occasione di confrontarsi veramente con persone che magari crediamo di conoscere come le nostre tasche; talvolta però si può scoprire che c’è ancora tanto da svelare di noi stessi e ci si può sempre “risvegliare”, anche dalle situazioni incancrenite.
Nel complesso, lettura assolutamente consigliata: la penna matura e convincente dell’ “inventrice” della famosa professoressa Camilla Baudino (Provaci ancora Prof) come sempre non delude.
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