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scheda di Filoramo, G., L'Indice 1993, n. 3
(scheda pubblicata per l'edizione del 1992)
Perché la Riforma in Italia fallì? Annosa questione, tornata oggi al centro del dibattito storiografico alla luce di rinnovati studi sia sulla diffusione dell'erasmismo e del protestantesimo anche in Italia sia sui limiti intrinseci dell'idea di Riforma cattolica, cara a H. Jedin e alla sua scuola. L'autore ricostruisce, nella prima parte, la "vague luthérienne", che colpì anche la penisola dagli anni venti fino alla metà del XVI secolo, soffermandosi, con lodevole esigenza di completezza documentaria anche geografica, non soltanto su episodi e figure ben noti, ma anche minori o sconosciuti, che però ben dimostrano come la Riforma avesse attecchito presso differenti ceti sociali. A partire dal colloquio di Ratisbona (1541) si assiste però a un'inversione decisiva di tendenza. Nonostante alcuni fenomeni significativi come l'adesione dei valdesi e la diffusione del calvinismo in Piemonte o nell'area del Triveneto, la messa in moto della macchina inquisitoriale, l'avvio del Concilio tridentino e la particolare congiuntura internazionale misero progressivamente in crisi, sino a bloccarlo, il processo di diffusione. L'autore si sofferma in particolare sul caso di Venezia, che in poco tempo perse, sotto la pressione congiunta del potere ecclesiastico e politico, la sua funzione di isola di libertà per i riformati. Amara la conclusione: i capi della Riforma, da Lutero a Calvino, avevano ben compreso l'importanza strategica dell'appoggio politico per il successo del movimento: "il fallimento del movimento protestante italiano, vasto e simultaneo in tutti gli Stati e le regioni della penisola, ne fu una tragica riprova".
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