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I cento e piú anni del celeberrimo santuario dell'arte attraverso i protagonisti.
«Ho bisogno di un teatro come io solo posso costruirlo. Non è possibile che negli stessi teatri in cui vengono rappresentate le nostre assurdità operistiche - inclusi i classici - dove tutto, messinscena, interpretazione, effetto richiesto è in sostanza in contrasto con ciò che esigo per me e per i miei lavori, questi possano trovare un terreno reale». Cosi scriveva Richard Wagner in una lettera del 1861 all'amico Hans von Biilow, il grande direttore d'orchestra da cui lo separeranno in seguito complesse vicende familiari (Wagner sposerà in seconde nozze Cosima, la moglie di von Biilow).Quel progetto, a cui Wagner aveva aspirato tutta la vita, la costruzione di un teatro che celebrasse unicamente la sua opera, fu realizzato finalmente a Bayreuth nel 1876. In quell'anno si inaugura il festival bayreuthiano con la prima esecuzione dell'Anello del Nibelungo alla presenza dell'imperatore Guglielmo I, di Franz Liszt e di uno scettico Cajkovskij. Ed è l'inizio di un'avventura irripeiibile, documentata e narrata in questo libro di Hans Mayer: la straordinaria simbiosi tra un grande artista e un'intera città, che fece dire a Nietzsche: «Perché un avvenimento abbia grandezza debbono concorrere due cose: il grande animo di coloro che lo compiono e il grande animo di coloro che lo vivono».Tempio di una nuova religione dell'arte, il teatro di Bayreuth, con i suoi cento anni di vita, è la storia di un monarca della musica e degli splendori e miserie della sua dinastia; ma nel libro di Mayer tutto questo si trasforma anche nella storia di una società, quella tedesca, e di una cultura, di cui il wagnerismo incarnò lo spirito. Dai rovesci finanziari del primo festival agli eccessi ideologici degli anni del nazionalsocialismo; dalla cacciata, nel dopoguerra, di Winifred, la nuora di Wagner, per la sua amicizia con Hitler, al tentativo fallito di mettere il festival nelle mani di Thomas Mann; dalla nuova interpretazione dei Maestri cantori violentemente contestata dal pubblico nel 1956 al rinnovamento perseguito da Wieland Wagner, quando sui programmi dei festival si leggevano contributi di Ernst Bloch e Theodor W. Adorno, il binomio Wagner-Bayreuth attraversa la storia tedesca come espressione di un'arte realizzata nell'utopia, come intreccio dialettico tra tradizione e innovazione, «come conflitto permanente - scrive Mayer - la cui fine non è prevedibile».
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