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Nagib Mahfuz, primo scrittore arabo a ricevere il Premio Nobel per la letteratura (1988), nella sua lunga e ricca carriera ha saputo raccontare i passaggi cruciali della storia egiziana del secolo scorso. Mahfuz è da sempre una voce importante e sensibile nel panorama delle letteratura araba, un punto di riferimento del libero pensiero (e nel ’95 è stato vittima di un attentato rivendicato da un gruppo fondamentalista islamico). Questo breve romanzo, pubblicato in Italia da Pironti, è un dramma che si consuma dalla prima all’ultima pagina con un procedere inesorabile che ricorda le parabole discendenti del kafkiano Josef K o del Mersault di Camus. Morta la madre, decaduta tenutaria di bordelli ad Alessandria, Sabir, un giovane senza arte né parte, spinto dalla necessità si mette alla ricerca del padre, della cui esistenza ha saputo dalla madre in punto di morte. E sulla cui esistenza si favoleggia come di uomo dalle straordinarie ricchezze. Al Cairo, dove la ricerca presto lo conduce, Sabir si trova invischiato in due storie d’amore, potenti e diversissime tra loro. Da una parte c’è l'amore casto per Ilham, che lavora in un giornale presso cui egli ha fatto pubblicare un annuncio per ritrovare il padre, e che cerca di spingerlo sulla retta via, facendolo passare per così dire per “la porta stretta”. Dall’altra c’è la passione travolgente per Karima, la proprietaria dell’albergo dove alloggia, una sorta di reincarnazione della madre titanica, che lo conduce sul sentiero dell’omicidio. Una vicenda semplice che si fonda su un triangolo non convenzionale, il cui vertice è un protagonista debole che consuma le sue chance in un battito d’ali, stritolato tra una purezza impossibile, che si sente negare per via ereditaria, e la ricerca di una strada facile alla soluzione dei problemi della vita. La grandezza di Mahfuz sta soprattutto nel ritmo di narrazione, che sa rendere avvincente una vicenda il cui finale pare già scritto. (V.T.)
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