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La storia di Filippa e delle sue ragazze è una storia di lotte. Prima di tutto, di lotta alla mafia. Ma non a quella mafia che padroneggia con la forza della lupara, bensì a quella che ricatta, che soffoca con le intimidazioni, che uccide senza sporcarsi le mani. È una storia di lotta contro gli stereotipi di genere. È una storia di lotta per i diritti delle lavoratrici. Ester Rizzo racconta le molteplici resistenze delle ricamatrici di Santa Caterina Villarmosa con un linguaggio semplice ma puntuale; amichevole e rigoroso. L'uso di qualche parola in siciliano sembra riesca a portare il lettore e la lettrice tra le mura della Cooperativa, in casa di Filippa, tra le strade del piccolo paese siciliano. Da leggere.
Un racconto sospeso tra storia e fantasia, estremamente coinvolgente per la triste verità che riesce a dire pur nella leggerezza di una narrazione semplice e senza colpi di scena. La stessa narrazione diventa forte e tagliente allorché manifesta l’impotenza, la rabbia, l’amarezza che gente come noi del sud si è trascinata dietro per troppo tempo, sapendo quanto forte ed impietoso sia stato il peso della mafia. Bellissima la figura di Filippa, nonna e mamma dolcissima, donna forte e determinata, raccontata senza il fragore che la sua testimonianza storica forse imponeva, ma che a poco sarebbe servito in una narrazione tanto pacata e silenziosamente rumorosa. L’espediente narrativo è ben riuscito: la scrittrice, concedendosi ad uno stile espressivo semplice e senza inutili orpelli, colloquiale e ricco di sfumature linguistiche che a tratti piacevolmente si affidano al vezzo dialettale, è riuscita a far rivivere anche nel linguaggio uno spaccato della Sicilia che “forse” non c’è più, ma con il quale dobbiamo ancora misurarci perché ancora vive tristemente nel cuore di tutti.
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