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Alla morte di Georg Maltravers, un giornale parigino pubblica un trafiletto: vi si ricordano le sue origini da una famiglia di antica nobiltà, la sua vita dissipata di avventuriero, si accenna ai suoi aspetti loschi, alla sua carcerazione come baro. Ma Georg Maltravers non è morto. Si è risvegliato per terra, nella cappella di famiglia, da una lunga morte apparente, poche ore prima che lo seppellissero. Allora «rimase seduto sulla sponda della bara come una scimmia malata» e decise di vivere un’altra vita dopo la morte. La morte stessa si era rivelata troppo facile. Ora Maltravers puntava a qualcosa di più ambizioso: costruirsi una seconda morte che lo riabilitasse dalla maniera grezza e naturale con cui aveva vissuto la prima. Per questo, doveva vivere una seconda vita, con un nuovo nome, scelto fra i molti del suo casato. Ma in questa nuova vita, poiché è già morto, Maltravers non potrà vivere: dovrà lasciar vivere un altro, che non sappia di vivere per Maltravers né che Maltravers vive per lui. Sarà un altro Maltravers, giovane e bellissimo, che ripeta le sue gesta, mentre l’anziano, sopravvissuto avventuriero assapora, osservandolo, la gioia suprema di non vivere in prima persona. Dopo accurate perlustrazioni nei bassifondi di Parigi, l’occhio di Maltravers, quell’occhio infallibile per la vita che si forma soltanto «quando ormai è troppo tardi», si poserà su un giovane pugile di insolita bellezza, che tira avanti con piccole truffe. Maltravers lo sceglie come un dio sceglie un suo beniamino. Ma la vera stranezza ha inizio qui: Maltravers plasma il giovane senza alzare un dito, unendo una distratta passività a macchinazioni ruffianesche. Perché agisce così quest’uomo che «non si poneva soltanto oltre le cose, ma anche oltre se stesso»? Per scoprirlo, lo dovremo seguire fra Parigi, Roma e Venezia, sugli sfondi di una mondanità cerea e impeccabile, che sembra comporsi di cartoline da film degli Anni Trenta. Insieme, Maltravers e il giovane pugile procedono in una spirale di eventi sordidi, ma al tempo stesso la realtà intorno a loro acquista un respiro più lieve, si mostra ospitale per qualcosa di meraviglioso che si percepisce come la luce di un abbacinante pomeriggio dall’ombra di un corridoio. Presi nelle volute rococò di queste storie, ridiamo e sorridiamo continuamente, e non sappiamo perché, incantati dalla gratuita verve della narrazione. Baro, truffatore e ruffiano, Maltravers lascia trasparire alla fine i tratti di una divinità benefica e inafferrabile, che però continua a compiere le imprese più equivoche, quasi per una fedeltà di stile e perché il suo protetto capisca che il Bene è l’impresa di gran lunga più azzardata, dubbia e avventurosa. Con il personaggio di Maltravers, Lernet-Holenia è arrivato vicino come mai al proprio segreto. Questo essere nobile e losco, frequentatore dei bassifondi e delle famiglie imperiali, mistificatore e psicopompo, somiglia più che a qualsiasi altra cosa allo spirito mercuriale e misterico che aleggia nella pagina di Lernet-Holenia.
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