Il volume prende in esame gli anni della formazione di Renzo Piano, vale a dire quelli che precedettero l'exploit del Centre Georges Pompidou
«Come per la preistoria la documentazione è affidata ai fossili – residui integri o parziali di organismi un tempo viventi –, così la memoria degli esordi professionali di Piano sopravvive unicamente nelle fotografie e nei disegni d’archivio: non rimangono edifici»
Il sorprendente successo ottenuto da un architetto allora poco più che trentenne nel celebre concorso internazionale del 1971 ha messo per molto tempo in ombra le sue precedenti esperienze, che sono invece fondamentali per comprendere non solo la genesi del Beaubourg (concepito insieme con Richard Rogers e Gianfranco Franchini), ma anche di tutta la sua produzione successiva. Il fitto intreccio delle sue complesse radici culturali, che si diramano in molte direzioni differenti, viene ora finalmente districato da Lorenzo Ciccarelli, che per primo ha potuto accedere agli archivi della Fondazione Renzo Piano. I capitoli del volume «tentano di disciplinare in una più sfaccettata conoscenza il magma che sta all'origine delle opere giovanili di Piano, cercando di conservare i tratti rapsodici di un vero e proprio "ritratto dell'artista da giovane"». Subito dopo la laurea, Piano costruì una serie di innovative strutture sperimentali, grazie alla sua naturale inclinazione verso le coeve ricerche sui processi di prefabbricazione e al suo attivo interesse per l'industriai design. I più significativi lavori di quegli anni sono le coperture in elementi piramidali (1964-1965) e in elementi gonfiabili (1966), il laboratorio di falegnameria (1965), lo stabilimento per l'impresa di famiglia (1966-1968), le strutture a guscio (1966-1968), l'abitazione a pianta libera (1968-1969), lo studio Piano agli Erzelli (1968-1969), il padiglione per l'industria italiana all'Expo di Osaka (1969-1970). La concezione e la realizzazione di queste opere sono, almeno in parte, frutto del dialogo che il giovane Piano intratteneva allora con alcuni maestri italiani (da Franco Albini agli esponenti della «cultura politecnica» milanese, Marco Zanuso, Giuseppe Ciribini e Giordano Forti) e internazionali (Jean Prouvé, Louis Kahn, Zygmunt Makowski, Robert Le Ricolais), che, se oggi sono universalmente considerati tali, furono a lungo misconosciuti o rimossi. Lo studente genovese li scelse con ostinazione, perseguendo un’ars combinatoria affatto personale, che lo spinse a viaggiare, spostandosi freneticamente, fra l’Europa e gli Stati Uniti. L’ultima parte del libro è dedicata al sodalizio con il «fratello maggiore» Richard Rogers, che lo introdusse nel contesto britannico e in un’isolata – ma tanto più significativa – esperienza didattica presso l’Architectural Association di Londra, accompagnandolo, infine, nel «nuovo inizio» del Beaubourg. Le ricostruzioni qui presentate costituiscono dunque uno strumento essenziale per illuminare e rileggere, attraverso materiali del tutto inediti, gli esordi della carriera professionale di uno fra i massimi architetti del nostro tempo.
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