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E' di quei libri che si definiscono piccoli gioielli. Forse più un lungo racconto che un romanzo, una novella con una svolta nel finale, ma senza forzature. Anzi ci si accorge che a questa conclusione siamo preparati dall'inizio. La storia narra di un funzionario occidentale affascinato dalla Cina, dal suo Imperatore e dalla Città Proibita di Pechino, che vuole penetrare a tutti i costi. Per entrarvi prende lezioni di mandarino da un giovanissimo occidentale, che sembra saperne parecchio e soprattutto avere i contatti giusti per arrivare al centro segreto. Il rapporto fra il (presumibilmente) maturo funzionario e il giovane insegnante si sviluppa con le dovute ambiguità e raffinatezze che ci si aspettano in un romanzo di segno orientale e si conclude in maniera lucida e commovente, offrendoci, oltre a una sapiente descrizione di storia e costume, soprattutto un quadro sincero di umanità. Scritto con un piglio originale e una perfezione classica di stile.
Recensioni
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Riappare nella bella traduzione di Clara Lusignoli già pubblicata da Einaudi nel 1973 il "romanzo segreto e poliziesco" di Victor Segalen. Prova tra le più raffinate e ambigue della letteratura francese d'inizio secolo René Leys o il mistero del Palazzo Imperiale contiene la più felice e compiuta applicazione di quell'idea di esotismo quale "estetica del diverso" alla cui formulazione l'autore dedicò gran parte delle proprie ricerche di poeta sinologo archeologo ed esploratore. René Leys giovane belga cresciuto tra le opposte tensioni della Cina alle soglie della Rivoluzione è l'enigmatico protagonista di un'immediata quanto improbabile ascesa presso la corte imperiale di Pechino. Confidente del Reggente amante dell'Imperatrice madre e capo della polizia segreta egli si dichiara testimone dei complotti e dei rituali millenari celati dall'inaccessibile dimora della Città Proibita che come il castello di Axel nell'opera di Villiers de l'Isle-Adam traccia il perimetro onirico di una vita più fantastica che reale. Al racconto visionario di René pronto a sacrificarsi con la morte al castello dei sogni si contrappone l'esprit raziocinante del narratore un diplomatico francese che nell'affidare le gesta del giovane cortigiano al proprio journal tenta vanamente di "discernere il vero dal falso; il possibile dal probabile; il credibile dall'assurdo". Un'ironia diffusa offre sbocco all'irrisolto confronto tra realtà e immaginazione sovvertendo alla radice le regole della narrazione come mostra il bell'avvio à rebours del romanzo: "Dunque non saprò nulla più. Non insisto; mi ritiro… rispettosamente del resto e camminando a ritroso perché il Protocollo lo esige e si tratta del Palazzo Imperiale (…) Con questa confessione – ridicola o diplomatica secondo l'accento che le diamo – devo chiudere prima di averlo portato molto avanti questo quaderno di cui speravo fare un libro".
Annalisa Bertoni
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