La cultura sta male, molto male. Sono anni che non rientra più tra le priorità del nostro Paese. E il degrado morale, sociale e politico a cui stiamo assistendo – amplificato dai barbari del nostro tempo (politici, giornalisti e opinionisti televisivi, influencer, artisti improvvisati) - non fa certo sperare in un futuro migliore. Durante il ventennio berlusconiano – che ha portato a un rovinoso abbassamento del gusto durante il quale un'intera nazione è stata in parte spettatrice passiva e in maggioranza plaudente e gaudente – è iniziata una discesa verso il basso che sembra non avere fine, che sta condizionando anche chi cerca di resistere, lottare strenuamente per difendere la bellezza e l'arte. È la fine del sentimento collettivo, è la vittoria dell'individualismo, di quell'edonismo nato con la Milano da bere (ancora a proposito di berlusconismo), perché siamo spinti verso un isolamento – sociale e culturale - sempre più amplificato dai social, luoghi di falsa condivisone. La strategia è sempre quella: meglio non fare pensare la gente, meglio offrire banalità e superficialità. A questo punto una domanda sorge spontanea: dove sono finiti gli intellettuali? Perché non si fanno sentire? Possibile che non percepiscano anche loro il clima di sofferenza di una società sempre più mediocre? Possibile che non si siano mai rivoltati nei confronti di tanta ignoranza? Sono anni che abbiamo una classe politica che disprezza la cultura e che, sottraendo preziose risorse, mortifica la ricerca e l'università: ci hanno fatto capire che non le ritengono essenziali per la costruzione di un nuovo modello di società. Questo arretramento – unito al degrado e alla perdita di valori - sta impoverendo implacabilmente le nuove generazioni, impossibilitate a pensare a "domani", a disegnarsi un futuro. Re Nudo chiede a gran voce a donne e uomini di cultura di uscire finalmente allo scoperto, produrre opere e grandi pensieri, mettersi alla testa di una rivolta contro le continue riforme distruttive. Devono colmare quel vuoto occupato dal qualunquismo, dall'ignoranza, dalla volgarità, dal populismo più becero ed entrare nella vita e nella realtà del "popolo", smettendola di parlare solo a loro stessi. Il nostro Paese sta scivolando sempre più verso una buia e triste deriva, perché per la cultura – in tutti i suoi ambiti - non viene più presa in considerazione. Anzi, da fastidio. Eppure una società sempre più mediocre e accecata dall'odio per tutto ciò che è diverso e dissonante, insofferente verso il dissenso, dovrebbe destare qualche preoccupazione non solo per il futuro, anche per il presente. Devono metterci la faccia, non possono più nascondersi.
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