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recensioni di Facchini, C. L'Indice del 2000, n. 03
Ai numerosi lavori dedicati in questi ultimi anni alla storia degli ebrei e della persecuzione antisemita sotto il fascismo si aggiunge ora la vasta indagine, confluita in un volume di saggi e in uno di documenti, condotta da un gruppo di giovani studiosi (Federica Balloni, Camilla Bencini, Francesca Cavarocchi, Simone Duranti, Valeria Galimi, Alessandra Minerbi e Valentina Piattelli) diretti da Enzo Collotti.
Il corposo volume dei saggi si suddivide in tre nuclei tematici ben interrelati. Una prima parte è dedicata alla "presenza ebraica in Toscana" negli anni trenta, vista di scorcio percorrendo il periodico sionista "Israel", da un lato, e le vicende della istituzione comunitaria fiorentina, dalla riforma del 1930 fino alla persecuzione e allo sterminio, dall'altro. Segue la minuziosa analisi della stampa regionale e della pubblicistica razzista antiebraica, con uno spoglio che va dai quotidiani locali delle diverse province toscane, ai fogli fascisti fino alla stampa delle federazioni di provincia che, insieme ai Guf, molto attivi anche al di fuori delle università, svolse un ruolo incisivo nella propaganda antisemita nelle campagne.Infine una sezione è dedicata all'analisi della "prassi persecutoria" antiebraica, dall'esproprio dei beni, all'espulsione di studenti e docenti dall'ateneo fiorentino, per giungere alla descrizione delle fasi dell'internamento degli ebrei e della creazione di campi di concentramento sul territorio toscano. Il secondo volume, di dimensioni più ridotte, pubblica una scelta della ricchissima documentazione consultata dai ricercatori.
Alessandra Minerbi ricostruisce le vicende della comunità ebraica fiorentina intrecciando i dati restituiti da fonti archivistiche e a stampa con quelli offerti da diari inediti e testimonianze orali, utili a evocare l'atmosfera del periodo. Così, attraverso le vicissitudini della comunità - più che dei singoli - si scorge la lenta fascistizzazione dell'ebraismo fiorentino, fino alla commistione di liturgie politiche e rituali religiosi.Un processo non privo di conflitti interni anche aspri: il 1934 vede infatti un primo duro scontro tra le diverse anime della comunità. L'enfasi della stampa nazionale sulla nutrita presenza ebraica tra gli antifascisti torinesi arrestati acuì infatti il conflitto tra il gruppo di ebrei fiorentini di più provata fede fascista, legati alla rivista "La nostra bandiera" di Torino, e le altre componenti culturali della comunità, rappresentate da gruppi sionisti o da personalità più moderate.
È proprio la minuziosa ricostruzione di ogni micro-evento che riesce poi a restituire la drammaticità della effettiva applicazione delle leggi razziste per chi ne fu vittima. In brevissimo tempo le più banali certezze quotidiane vennero sistematicamente annullate: l'espulsione dai posti di lavoro e la graduale e inesorabile separazione degli ebrei dagli altri italiani si rivelò finalizzata alla degradazione e umiliazione proprie di un effettivo sistema di apartheid, accompagnato dal martellamento quotidiano della stampa, non meno traumatico per chi ne era bersaglio. Si infranse, così, a meno di un secolo dall'emanazione dello Statuto albertino, del 1848, il processo di integrazione della minoranza ebraica nello Stato nazionale italiano. L'impatto della legislazione antiebraica deve, infatti, essere valutato - come afferma Collotti nell'introduzione - non solo in riferimento alle vicende della Shoah, ma anche rispetto all'integrazione raggiunta dagli ebrei italiani nel paese: solo così è possibile comprendere la cesura radicale che essa comportò.
L'analisi delle diverse reazioni dei singoli consente anche di mettere in luce la ricaduta dei provvedimenti razzisti sulla complessa questione dell'identità. Di fronte al criterio razzista imposto dalle leggi del 1938, il variegato panorama che compone le identità degli ebrei italiani viene forzatamente sottoposto a una drastica quanto artificiosa semplificazione. Nel linguaggio arido della burocrazia si sancisce la definitiva soppressione di qualsiasi libertà di autodefinizione esterna alle categorie imposte. La sovrapposizione, nei questionari fascisti, di appartenenze religiose e "razziali" inchiodava persone come Dino Lattes, antifascista laico ma di origine ebraica, o Attilio Momigliano, iscritto alla comunità, ma non religioso, a un'identità imposta totalmente estranea alla loro autocomprensione, spingendoli alla significativa quanto inefficace rivendicazione della loro estraneità a qualsiasi religione.
Un gran numero di "intellettuali militanti" viene mobilitato dal regime fascista nella diffusione capillare di stereotipi antisemiti, attinti sia dalla lunga tradizione teologica antiebraica, sia da pregiudizi più moderni. Gli ebrei vengono, così, isolati e trasformati in uno dei soggetti più pericolosi per un fascismo sempre più autarchico. Ma i documenti pubblicati attestano quanto il pregiudizio antiebraico fosse sedimentato a livello anche inconsapevole, come appare in alcune missive della polizia, dove gli ebrei vengono percepiti come strutturalmente inassimilabili al corpo della nazione. Dallo spoglio dei quotidiani locali emergono invece temi riscontrati anche in altre regioni: si concentrano soprattutto intorno alla "questione ebraica" posta in relazione alla politica estera del regime e alla sistematica assimilazione degli ebrei ai nemici del fascismo via via individuati nella cronaca estera. Diverso è il discorso relativo ai giornali di provincia e nelle campagne, dove - come ha mostrato Simone Duranti - per diffondere un'immagine negativa degli ebrei si attinge più sistematicamente alla lunga durata dell'antigiudaismo cattolico.
Più circoscritte sono le riflessioni sulla stampa ecclesiastica e sull'atteggiamento del mondo cattolico locale di fronte all'antisemitismo di Stato, a causa dell'impossibilità di accedere al materiale archivistico.
L'analisi della prassi persecutoria, indagata a partire dal censimento del 1938, testimonia la ricaduta locale dell'accanimento burocratico del regime fascista, già messo in luce dagli studi di Fabio Levi e Michele Sarfatti.Sul versante delle vittime si assiste così all'impennata delle abiure e delle conversioni - prima quasi inesistenti - con il loro doloroso seguito di drammi e dissidi familiari.La persecuzione appare particolarmente impressionante a scorrere le vicende dell'ateneo fiorentino, che integrano utilmente le indagini già dedicate a quelli di Bologna, Pavia, Trieste, Padova e Pisa. La volontà di cancellare ogni traccia di presenza ebraica si spinse infatti fino a far seguire alla sistematica espulsione dei docenti e degli studenti ebrei la cancellazione dagli annuari dei loro nomi, dei loro lasciti e persino la rimozione delle statue che celebravano i più antichi e illustri fra loro, e, infine, l'inserimento di insegnamenti prettamente razzisti.
L'indagine dedicata all'internamento degli ebrei e alla costituzione di campi di concentramento esplora un argomento non ancora adeguatamente analizzato dalla storiografia. Occorre ricordare che i campi di concentramento in Italia furono cinquanta, e quaranta di essi ospitarono ebrei. Valeria Galimi ricompone un quadro complessivo della situazione locale, e attraverso l'analisi delle vicende dei campi di Bagno a Ripoli e di Civitella della Chiana consegna alla storia e alla memoria eventi completamente rimossi.
I due volumi confermano una volta di più la capillarità e la sistematicità delle pratiche messe in atto dal regime fascista nell'escludere, segregare, umiliare e infine perseguitare una componente della sua popolazione che - non diversamente dagli altri italiani - aveva subito la progressiva fascistizzazione della propria esistenza.
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