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A tre anni dalla sua pubblicazione per la Harvard University Press, il Mulino pubblica oggi la traduzione italiana di Razionalità e libertà di Amartya Sen (o, meglio, di una consistente parte di esso, in quanto include dodici dei ventidue capitoli dell'edizione originale). Si tratta, in molti casi, di saggi già apparsi su riviste internazionali, tra cui la magistrale lecture su La possibilità della scelta sociale che Sen tenne a Stoccolma nel 1998 in occasione del conferimento del premio Nobel per l'economia, ma che vengono qui riproposti e collocati all'interno di una prospettiva unitaria nell'inedito e ampio capitolo introduttivo sulla natura e i requisiti di razionalità e sull'idea di libertà.
Tanto il concetto di razionalità quanto quello di libertà rappresentano le fondamenta su cui si regge una larga parte dell'edificio economico, filosofico e, più in generale, delle scienze sociali. Il punto di partenza da cui muove Sen è che questi concetti, per quanto possano essere trattati in modo separato e indipendente l'uno dall'altro, presentano profondi legami di interdipendenza. Se, da un lato, il concetto di libertà non può essere espresso compiutamente, se non si include l'idea di ciò che le persone preferiscono o hanno ragione di preferire, dall'altro le scelte devono rispettare il requisito della ragione. Ma se non sono scelte libere, nel senso che sono limitate arbitrariamente da un qualche assioma esterno o dalla necessità di conformarsi a una specificazione ritenuta appropriata, l'idea stessa di scelta razionale rischia di venir meno. Le scelte ammissibili rischiano di restringersi dando luogo ad una sostanziale "non libertà".
Vediamo allora sulla base di quali argomentazioni la questione della razionalità viene affrontata. In questi saggi, Sen pone in discussione la caratterizzazione ristretta che l'economia in generale ma in particolare la teoria delle decisioni, la teoria dei giochi e la microeconomia, assegnano alla nozione di scelta e preferenza. In questi contesti la razionalità viene a essere convenzionalmente intesa: come soddisfacimento di assiomi di coerenza interna della scelta, come perseguimento intelligente del proprio interesse personale, oppure come comportamento massimizzante generale, non necessariamente limitato alla ricerca del proprio interesse. Le critiche di Sen si indirizzano al fatto che la prima fra queste interpretazioni non lascia spazio ad alcun criterio diverso dalle scelte stesse. Non agli obiettivi, non ai valori, non a qualunque altra variabile o principio sostantivo che si collochi al di fuori della scelte stesse, le quali vengono semplicemente confrontate tra loro, a due a due. È quanto avviene, ad esempio, quando si fa ricorso agli assiomi deboli e forti delle preferenze rivelate o quando si richiede che le scelte siano binarie. Si tratta di assiomi "interni", nel senso che mettono in relazione parti diverse della funzione di scelta senza collegarsi a null'altro al di fuori della scelta stessa. Tuttavia, come rimarca Sen, possono esservi scelte coerentemente ottuse che spingono l'individuo a scegliere sempre le cose alle quali attribuisce il minor valore: il requisito di coerenza risulterebbe in tal modo soddisfatto ma sarebbe piuttosto arduo sostenere che questo comportamento rappresenti un modello di razionalità.
La seconda e la terza interpretazione del concetto di scelta razionale si richiamano entrambe a un principio esterno: non si tratta qui di confrontare scelte alternative tra loro, come nel caso precedente, ma di scegliere ciò che va maggiormente a vantaggio del proprio interesse (secondo caso) o, più in generale, ciò che massimizza qualcosa di esterno all'atto di scelta, siano essi scopi, obiettivi o valori (terzo caso).
La visione auto-interessata della razionalità che caratterizza l'uomo economico, dominante nell'economia contemporanea, appare però a Sen non solo arbitraria (gli altri possono rientrare nei miei calcoli di massimizzazione solo nella misura in cui le loro azioni o condizioni hanno un impatto diretto sul mio benessere e sul mio vantaggio), ma anche parziale: ad esempio, non permette di spiegare perché le persone sentano la necessità di cooperare tra loro o perché vi siano comportamenti indotti dall'esistenza di una coscienza civica anziché mossi dal puro egoismo. D'altro canto, Sen non ritiene sia sufficiente estendere il principio di massimizzazione ad altri scopi o valori diversi dall'interesse proprio (il terzo caso) e mette in discussione il principio stesso di massimizzazione considerato necessario ma non sufficiente, per alcune ragioni non certo secondarie, quali la ricorrente possibilità che gli ordinamenti di preferenza non siano completi, l'informazione a disposizione dell'individuo non sia completa e, in modo particolare, il fatto che l'atto di scelta e l'importanza del processo di scelta, ancor più del risultato finale a cui conduce la scelta stessa, possa avere valore per l'individuo. Tutto questo non sembra trovare uno spazio adeguato nel principio standard di massimizzazione così come viene postulato dalla teoria della scelta.
Sen suggerisce di guardare alla razionalità in modo più esteso, non come a una formula privilegiata o come insieme di condizioni convenzionalmente poste, ma come una disciplina fondata sul principio che non solo le scelte, ma anche gli obiettivi, i valori e le priorità, dell'individuo debbano rispettare il requisito della ragione. Come già Sen rimarcava nel suo saggio sugli "sciocchi razionali" del 1977, la critica a cui si espone l'analisi della scelta razionale non riguarda tanto il fatto che i soggetti siano auto-interessati, quanto il fatto di postulare che essi non sappiano distinguere tra benessere personale, proprio interesse privato, propri scopi e obiettivi, valori personali, ragioni sensate di scelta e così via: è questa mancanza che determina, secondo Sen, una grave limitazione della razionalità e, implicitamente, una negazione della libertà di pensiero. In questi scritti, Sen suggerisce un approccio alla razionalità basato sulla capacità dell'individuo di ragionare, di guardare a sé come a un essere libero e in grado di ragionare. Naturalmente non è escluso che l'auto-analisi ragionata conduca l'individuo a decidere di perseguire l'interesse proprio: ma non è necessario né obbligatorio che ciò avvenga.
Veniamo ora al secondo piano di discussione su cui Sen richiama l'attenzione, quello relativo all'aspetto della libertà. Sen sottolinea come l'economia del benessere contemporanea, per quanto presenti elementi di eterogeneità e talvolta persino di eclettismo, reintroduca la possibilità di confronti interpersonali di utilità e si riveli sostanzialmente aperta ad accogliere concetti relativamente nuovi, quali la qualità della vita, il soddisfacimento di bisogni primari o lo sviluppo umano, resti ancora tuttavia fortemente ancorata all'idea che lo spazio nel quale giudicare equità ed efficienza debba essere sostanzialmente basato su qualche concetto di benessere più che di libertà delle persone.
Per chiarire l'importanza del legame che si pone in essere tra benessere e libertà, Sen ritiene importante distinguere tra "libertà come opportunità", intesa come reale capacità delle persone di raggiungere ciò a cui attribuiscono importanza e "libertà come processo", che guarda al modo in cui gli individui sono in grado di compiere scelte autonome. Essere liberi di fare qualcosa può risultare importante per noi anche se esiste una probabilità molto bassa di avvalerci di questa libertà. Entrambi gli aspetti sono legittimamente importanti, ma l'importanza relativa che assegniamo a essi può variare in relazione al contesto o al tipo di scelta che siamo chiamati a fare. Non si tratta, in ogni caso, di due aspetti separati, poiché in molte circostanze (probabilmente nella maggior parte delle circostanze) può non contare soltanto la realizzazione di un particolare risultato finale, ma anche il modo con cui lo conseguiamo e l'insieme di alternative disponibili che troviamo di fronte a noi.
Se alla riflessione teorica sottostante le interpretazioni possibili dei concetti di razionalità e libertà e il loro legame di interdipendenza è dedicata la gran parte dei saggi contenuti in questo volume, Sen non trascura però di dedicare spazio anche ad alcune questioni pragmatiche e centrali per le società moderne, le cui risposte possono venire proprio attraverso la prospettiva della libertà e l'utilizzo della ragione che Sen suggerisce come criterio guida per la comprensione e la valutazione di scopi e valori sociali.
Si tratta di questioni di diversa natura, che investono la relazione tra mercati e libertà, e in particolare il fatto che il meccanismo di mercato possa o meno promuovere le libertà individuali; che guardano al problema della valutazione ambientale come problema di scelta sociale; che pongono il problema dell'adeguatezza dell'analisi costi-benefici in molti ambiti di decisione pubblica e la necessità di richiamarsi a giudizi di scelta sociale espliciti al fine di estendere la valutazione al di là dei risultati di mercato. Non sono certamente questioni a cui è facile dare risposta ma, come scrive Sen "possiamo essere d'accordo sulle domande anche quando non lo siamo sulle risposte, e ci sono molte questioni difficili che, in un modo o nell'altro, devono essere affrontate". La capacità di Sen di affrontare queste questioni con interesse e passione, ponendo argomentazioni robuste e convincenti emerge ancora una volta con chiara evidenza da questi suoi scritti.
Enrica Chiappero Martinetti
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