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La normatività pervade le nostre vite. Nell’agire quotidiano ci scopriamo soggetti a regole e norme di comportamento, linguaggio e pensiero che avvertiamo ineludibili. In ambito morale la normatività di tali vincoli assume un rilievo addirittura paradigmatico. Diciamo di «sentirci in dovere di» fare e dire qualcosa o di «essere obbligati» da una situazione o verso qualcuno. Nel nostro quotidiano commercio con il mondo usiamo il vocabolario del «dovere» e dell’«obbligazione» al fine di render conto, a noi stessi e ad altri, delle azioni che intraprendiamo. La filosofia morale degli ultimi trent’anni ha provato in vario modo a rendere conto della forza normativa delle considerazioni morali. Tra le proposte più trascurate, e solo di recente divenuta oggetto di aspre discussioni e confronti polemici, vi è quella del ‘costruttivismo kantiano’. Riprendendo da Kant il concetto di ragione pratica, e individuando nel «punto di vista pratico» la prospettiva propria dell’agente razionale, il costruttivismo vuole giustificare la forza normativa dell’etica a partire da processi razionali, riflessivi e deliberativi, interni a tale punto di vista. Il costruttivismo pretende così di salvaguardare la kantiana autonomia della ragione, e la connessa supremazia del pratico, evitando di reperire le basi autoritative dell’etica nella particolare conformazione della natura umana o in presunti fatti mondani indipendenti. Lo scopo principale del presente lavoro è indagare le specificità teoriche di tale proposta.
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