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Il sistema della comunicazione radiotelevisiva sta attraversando in Italia una turbolenta fase di instabilità. In particolare il modello di «servizio pubblico», che in passato aveva sempre corrisposto alla domanda di informazione e di cultura di tutta la collettività, oggi appare inadeguato rispetto ai nuovi scenari tecnologici che si profilano all'orizzonte, e tuttavia essenziale alla crescita civile del paese. Di quel modello è certamente il versante televisivo quello più in crisi, mentre la radiofonia conserva ancora caratteri che legittimano a pieno titolo il mantenimento, se non addirittura lo sviluppo, della sua «funzione» pubblica. In un momento che vede rinnovarsi da più parti l'interesse per la radio, la lettura di questi interventi, affidati ad alcuni tra i più noti studiosi ed operatori del settore, può quindi costituire un punto di partenza utile al dibattito.In Italia è sempre mancata una «cultura della radio», che in altri paesi europei, al contrario, ha dato vita a una produzione sempre di alto livello e di forte impatto sugli ascoltatori. Si tratta di invertire questa tendenza, con scelte che non potranno non riguardare le istituzioni, e non potranno non tradursi in un nuovo sistema normativo. La radio pubblica italiana risente attualmente di una condizione di fragilità, nonostante abbia alle sue spalle un glorioso passato. Cominciare a discuterne è un primo passo verso quella riforma della radiofonia da sempre auspicata ma che, nonostante qualche parziale tentativo, non ha mai avuto esiti realmente efficaci.
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