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Perbacco, mi sono detto, questo racconto è della Divakaruni, l’autrice dello splendido romanzo La Maga delle Spezie. Però, proseguendo nella lettura, mi sono trovato a sprofondare in sabbie mobili. Chiaramente ispirato al Decameron di Boccaccio, con numerosi punti a favore di quest’ultimo, però. I racconti dei vari personaggi intrappolati nelle macerie del palazzo sono sfilacciati, di scarso interesse e inconcludenti (proprio non si capisce dove vadano a parare e che messaggio vogliano proporre). L’unico che ha una valenza positiva e una bella verve è quello dell’indiana Malathi e della sua vendetta, come operatrice nel salone di bellezza, consumata a freddo. Inoltre il modo brutale con cui termina il romanzo non depone a favore della scrittrice. Sembra quasi che, non sapendo come concludere la storia, abbia lasciato a mollo i personaggi in quell’ambiente freddo e ostile, sotto le macerie del palazzo, con l’acqua che continua a invadere le stanze e che probabilmente li affogherà. Si pensa a una brutta fine, ma la Banerjee se ne lava le mani. Questa disaffezione nei confronti dei suoi personaggi che si è data tanta pena di descrivere non depone a suo favore! Se proprio volete leggere qualcosa di elettrizzante e ancora decisamente valido, rivolgetevi al Boccaccio, che ha un’inventiva straordinaria! Volete mettere la novella di Calandrino e Buffalmacco alla ricerca dell’elitropia nel letto del Mugnone? E le molte altre novelle frizzanti? Non c’è paragone!
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