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Se per la storia antica gli scavi di Heinrich Schliemann sulla collina turca di Hisarlik rappresentano un evento straordinario, altrettanto si può dire per la notizia del ritrovamento dei numerosi frammenti di rotoli di pergamena in undici grotte nelle vicinanze delle rovine dell'insediamento di Qumran, sul mar Morto. L'evento, risalente al 1946 ma reso nota l'anno successivo, fu annunciato dalla stampa come la più sensazionale scoperta archeologica del XX secolo. A tale aspettativa non corrisponde però una risposta pronta e univoca dell'equipe internazionale di ricercatori che per prima si applicò allo studio dei documenti: l'unica posizione condivisa e tradizionalmente accettata sino a oggi si limita alla datazione, ovvero il periodo della dinastia asmonea (II-I secolo a.C.). Paganini parte dall'inizio della storia, senza tralasciare gli elementi più romanzeschi che connotano la biografia dei molti che entrarono in contatto con i rotoli. Duplice è lo scopo dichiarato del libro: ricapitolare le fasi della scoperta e della pubblicazione dei manoscritti "al fine di porre un freno alle teorie su cospirazioni e intrighi" (à la Dan Brown) così radicate nell'immaginario collettivo; offrire un contributo alla ricerca sull'argomento che si presenti come una "nuova variante risolutiva" sul rapporto fra insediamento qumranico, suoi abitanti, manoscritti. Tutta la ricerca su Qumran muove dalla classica bipartizione archeologia/testo, espressa anche come rovine di Qumran/manoscritti. A questa coppia va poi aggiunto un terzo attore, introdotto sulla scena quasi contemporaneamente alla scoperta e non meno discusso: gli Esseni. Le testimonianze antiche relative agli Esseni (Flavio Giuseppe, Filone d'Alessandria, Plinio il vecchio) non fanno alcun esplicito riferimento al sito di Qumran, ma il cortocircuito fra i tre elementi stabilito dal primo studioso dei manoscritti (il domenicano Roland de Vaux) resiste sino a oggi. Paganini offre un puntuale status quaestionis, presentando tutte le ipotesi sul tappeto e dando un breve sunto dei documenti sinora identificati all'interno della congerie di frammenti pergamenacei a disposizione degli studiosi. A questo aggiunge una rapida descrizione del frastagliato mondo palestinese a cavallo dell'era cristiana. Nell'ultimo capitolo "esce allo scoperto", avanzando la sua proposta interpretativa: i manoscritti sono stati portati e non prodotti a Qumran e gli Esseni non sono gli autori né, probabilmente, gli abitanti dell'insediamento sul mar Morto. Per comprendere l'origine dei testi occorre non solo separare la loro storia da quella di Qumran, ma rivedere radicalmente l'immagine della società giudaica e, di conseguenza, delle prime comunità gesuane. Tuttavia, il dibattito è ben lungi dall'essere concluso e l'ipotesi essenica, nelle sue molte varianti, sembra non facilmente scartabile. Come già amava dire de Vaux, il rebus è complicato e ognuno vede ciò che vuol vedere.
Roberto Alciati
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