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Leggibilità ai minimi storici, pesante, niente movimento, ritmo zero. Impubblicabile.
Tedioso alla morte. Chiuso su sé stesso al punto di chiedermi come questo libro sia arivato alla publicazione. Concluso per il solo motivo che arrivo alla fine di ogni libro che leggo e ho letto nella continua speranza che qualcosa elevasse il piattume che stavo leggendo. Tuttavia ad altri è piaciuto. Ne prendo atto, ma non condivido.
Un gran bel libro, letto praticamente tutto d'un fiato! Scrittura fluida e disinvolta e durante la lettura l'autore costringe il lettore a immedesimarsi con i pensieri del protagonista, Thomas, in un viaggio a ritroso in merito ad una storia avvenuta anni prima...
Recensioni
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La scrittura di Trevisan, che ha per modello Thomas Bernhard ed è molto adatta alla forma del racconto che segnò l'esordio dello scrittore veneto nel 1996, con Trio senza pianoforte, torna con questo romanzo all'analisi di un'ossessione nevrotica, dietro la quale si affaccia fin dall'inizio il mistero di presenze e di scomparse. Il protagonista, che conta i passi fra il punto di partenza e quello della destinazione, da casa al tabaccaio, da casa allo studio del notaio, non è solo tuttavia - lo capiamo fin dall'inizio - la vittima di un disagio psichico, ma parte in causa di un delitto già consumato. Il lettore viene quindi quasi costretto a districare Thomas (questo il nome del protagonista, in omaggio allo scrittore svizzero) dalle maglie di una confusione di ruoli e di rapporti familiari. In questo senso il giardino selvaggio della casa della Commenda, in cui intenzionalmente la natura domestica si è voluta ridurre in stato di selvatichezza (con un movimento contrario a quello di una logica razionale), è proprio la metafora della scelta del protagonista, che è quella di respingere le schegge di orrore e di verità che inevitabilmente lo investono: "Dentro ognuno di noi, pensavo, c'è una superficie indivisibile che nessun altro essere umano può esplorare, un territorio ostile e inospitale, una terra che a volte anche noi tralasciamo di visitare". È un peccato che l'ansia di rendere il flusso della coscienza bruci, con soluzioni affrettate e sterzate brusche, quelle intuizioni che richiederebbero maggior indugio e sviluppo o anche, talvolta, un passo verso la chiarezza. È come se lo scrittore avesse paura di perdere il ritmo - tesissimo e che giustamente è stato accostato a quello del jazz - e di far cadere la tensione narrativa. Tuttavia alcune idee suggestive (il riferimento all'opera di Francis Bacon) e certi spunti di irritazione politica e sociale (per esempio, per l'educazione impartita nella "lavanderia cristiano-cattolica" dell'asilo delle suore o, ancora, per la proliferazione di via Aldo Moro) richiederebbero al lettore una più lenta metabolizzazione o anche, talvolta, un maggiore sbilanciamento da parte dell'autore.
Monica Bardi
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