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Quanti sono i Roberto Saviano in Italia? Dove vivono e a chi stanno regalando la loro libertà di muoversi senza portarsi dietro una scorta armata?
Prima che Roberto Saviano lo facesse partecipare come ospite alla sua trasmissione di successo Vieni via con me, condotta su RaiTre con Fabio Fazio, nessuno conosceva la storia di questo prete bresciano. Poi però è bastato dire che si tratta di un uomo che dal 2002 è nel mirino di una delle più sanguinarie famiglie ‘ndranghetiste calabresi per portare alla luce una storia commovente ed eroica.
In una lunga e avvincente conversazione con Goffredo Fofi, suo amico di vecchia data e compagno in molte battaglie sociali che lo hanno visto protagonista negli ultimi trent’anni, Don Giacomo Panizza si racconta, partendo dall’uomo che era prima di vestire la tonaca e dare ascolto alla sua vocazione.
Nato in una famiglia di operai di Brescia, don Giacomo era entrato a sua volta in fabbrica nel 1964 dopo la scuola elementare, dove lavorava pezzi in acciaio e dove era entrato in contatto con gli ambienti politici della sinistra militante. Negli anni Settanta, quando una bomba era esplosa a piazza della Loggia, lui era lì a manifestare ed era lì anche qualche giorno dopo, quando la polizia aveva rastrellato i neri neofascisti e anche gli altri neri, gli anarchici. Dal suo quartier generale, il bar Ai Miracoli, Don Giacomo aveva visto passare reietti e prostitute, giovani renitenti alla leva e studenti, ma aveva anche partecipato a cineforum e convegni che s’interrogavano sulle sorti del mondo e su un sentiero percorribile di giustizia sociale e di progresso.
Nessuno avrebbe mai pensato che la vocazione lo potesse sorprendere, come un fulmine a ciel sereno, trovandolo povero e con la “morosa”, adulto e digiuno di cristianesimo. Fu quindi con diffidenza che, dopo il seminario, il vescovo lo ordinò sacerdote, imponendogli però di lasciare il quartiere delle prostitute per lavorare nel mondo della disabilità. È così che don Giacomo entrò in contatto per la prima volta con la Comunità di Capodarco nelle Marche, una casa di cura che mescolava religione e vita, dando ai disabili amore ma anche dignità, diritti ma anche doveri, coinvolgendoli nelle decisioni e demandando loro anche dei compiti e delle responsabilità nella gestione del gruppo. Quando un giorno era arrivato a Fermo un gruppo di boy scout di Catanzaro che chiedevano al prete di ospitare anche qualche disabile calabrese, visto che lì “non c’era niente”, venne deciso che fosse la comunità a spostarsi e non il contrario. Nacque in questo modo la Comunità Progetto Sud: dall’utopia di un uomo, dall’esperienza di molti che operavano dentro e a volte contro la Chiesa, da un’esperienza minoritaria – come ama definirla Goffredo Fofi – che si radica e si concretizza nel mondo reale.
Forte dell’appoggio della Caritas e di Dio, Don Giacomo iniziò la sua attività a Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, in un territorio disgraziato anche per gli abili e che impiega le sue complesse istituzioni per lo più per impedire che le leggi vengano promulgate e attuate. Il vero stato nello Stato in Calabria sono le ‘ndrine, le famiglie mafiose, che gestiscono il territorio come se ne fossero i padroni e che non hanno mai accettato l’idea che un prete venuto dal Nord potesse aggregare intorno a sé i loro concittadini più deboli, mettergli a disposizione i loro beni – sequestrati dopo i processi di mafia – e mostrare a tutti l’esistenza di un’alternativa percorribile, cattolica e giusta, al loro modello sanguinario di vita.
La battaglia quotidiana di Don Giacomo Panizza contro la cosca dei Torcasio, ma anche il suo grande amore per una terra intrisa di visioni arcaiche, sono raccontate in questo memoir che si legge come un romanzo. Un libro che parla di un progetto etico visionario, capace di offuscare con la sua grandezza la mafia e gli altri mille ostacoli contingenti che lo allontanano dalla sua realizzazione, ma che descrive anche nel dettaglio una Regione bellissima e fragile, il suo tessuto sociale, le sue risorse e i suoi grandi limiti.
Se un giorno un vecchio amico, compagno di tante battaglie giovanili, dovesse incontrarlo e dirgli: “Sei diverso! Cosa ti ha cambiato?”, Don Giacomo Panizza risponderebbe:
Mi ha cambiato la Calabria, le sue povertà e le sue ricchezze, i suoi pericoli e le sue opportunità, i suoi schemi di pensiero espressi e quelli a me incomprensibili, la sua storia e la sua geografia… Da qui ho vissuto il mondo, non solo ciò che chiamano periferia.
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