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Introdotto da una prefazione -che è quasi un saggio- di Federico Federici, profondissima nello scandagliare echi, intenzioni, significati espressi e rimossi delle cinque sezioni che compongono il volume, questo libro di Andrea Carraro (Roma 1959) è insieme qualcosa di più e qualcosa di meno di un volume di poesia. Il lettore si trova di fronte infatti a una scrittura veloce, colloquiale e ansiosa intesa a sviscerare, in una puntualizzazione diaristica spesso rabbiosa o rancorosa, "questioni private" che hanno segnato dolorosamente la biografia dell'autore, e che questi dissotterra in una feroce autoanalisi, raramente riuscendo a uscire dal proprio io per approdare a una visione più condivisa e meno assillante della realtà. E così, se tutti dobbiamo fare conti con le figure genitoriali finché abbiamo vita, Andrea Carraro nel primo poemetto rivive (quasi pretendendo da chi legge il suo stesso coinvolgimento) la sua "sfrenata e impudica competizione" con il padre in un puntiglioso e severo riesame della vita di lui, riuscendo raramente a decantare nei versi la sua sofferenza di figlio incompreso, tradito, deluso. Il processo postumo diventa addirittura sarcastico, impietoso nei riguardi delle debolezze e delle aspirazioni paterne ("era solo un vecchio brontolone/ Colmo di sé e di catarro bronchiale"), uno sfogo che finisce per risultare quasi imbarazzante per chi legge, e vorrebbe ogni tanto soffermarsi su qualche verso letterariamente realizzato. Questa ansia logorroica permea anche tutta la seconda "Ode agli amici", omaggio a compagni di giovinezza raccontati in un elenco quasi monicelliano di aneddoti, scherzi, descrizioni ambientali-familiari-caratteriali che approda a una sorta di noioso amarcord privatissimo. Meglio quindi decisamente l'ironico inventario dei propri fallimenti esistenziali della terza sezione, o i ricordi di episodi circoscritti nelle ultime due parti del libro, "questioni private" sempre, ma più indulgenti verso chi scrive e chi legge.
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