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Quasi un consuntivo (1975-1987) - Remo Pagnanelli - copertina
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Quasi un consuntivo (1975-1987)

Descrizione


Remo Pagnanelli, riconosciuto da Franco Fortini e Vittorio Sereni come uno dei più interessanti poeti e critici nati negli anni cinquanta - è un autore la cui opera resta pressoché introvabile. Testimone di una generazione schiacciata tra i maestri degli anni sessanta (Luzi, Sereni, Fortini) e le delusioni post-sessantottine, con la sua passione per la letteratura ha lasciato versi esemplari e un ideale di etica della storia nel cui fuoco ha consumato in fretta la propria vita. Dopo il '68 (così s'intitola la sua prima raccolta), mentre stava crescendo il fuoco delle neoavanguardie, il marchigiano Pagnanelli si è tenuto «stretto» Leopardi insieme con Sereni, e ha lavorato con rigore sulla parola e sull'intonazione poetica.
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Dettagli

2017
30 novembre 2017
162 p., Brossura
9788868436858

Valutazioni e recensioni

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M. L.
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Che bello vedere finalmente ristampata la poesia di Pagnanelli! Il libro raccoglie le poesie di Epigrammi dell'inconsistenza, Preparativi per la villeggiatura e il poemetto L'orto botanico. Curatela essenziale ma attenta: una piccola Nota finale che permette di inquadrare la figura del poeta di Macerata nel panorama poetico coevo.

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Elena
Recensioni: 5/5

Un consuntivo poetico di straordinaria bellezza. Da leggere

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alida airaghi
Recensioni: 5/5

Pagnanelli lesse con attenzione critica la maggior parte dei poeti italiani contemporanei, ricavandone insegnamenti estetici e morali, convinto com’era che la letteratura fosse necessariamente maestra di vita e occasione di crescita interiore: ad essa demandava soprattutto la riflessione sulle domande fondamentali dell’esserci, interrogandosi laicamente sul destino dell’uomo e sulla morte, sull’inconsistenza del reale e sull’imprevedibilità del caso, sul rapporto con la propria corporeità e sull’amore. Leggere oggi le sue poesie, così eticamente severe e crudelmente interrogative, alla luce del suo suicidio è ovviamente pretestuoso e sbagliato: eppure la delusione per la banalità del quotidiano, per la sordità dei più verso la bellezza della natura e dell’arte, per la decadenza corrotta della politica per cui aveva nutrito ingenue aspettative, fece presto di lui e della sua lotta contro la banalità un combattente spuntato, sfinito. Consapevole della sua estraneità nei riguardi dell’esistenza comune, Remo Pagnanelli sapeva di non poter contare su alcuna “divinità felpata” protettrice o consolatrice, e allora tentava di appellarsi alle persone intorno: amici, parenti, donne da amare, già certo di non poterne ottenere ascolto o aiuto: “starò, è certo, fra amici ma non / volevo dire questo, domandavo / ben altro”. Eppure, superando ogni delusione, ogni ostica resistenza esterna, riusciva a comunicare nella sua scrittura la splendida gratuità di ogni apparizione naturale, erede in questo del luminoso esempio dell’amato Leopardi. In uno stile classico senza essere tradizionalista, limpido e consueto nel lessico, indifferente a metrica, rime e artifici sintattici, rivelando talvolta qualche eco montaliana, ma fatta propria e riassimilata con originalità, Pagnanelli si affidava a un ritmo modulato dal pensiero, perché era proprio la riflessione filosofica a costituire l’ossatura del suo poetare, sorvegliandone le soluzioni stilistiche, con coerenza stringente.

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