Ogni mattina un uomo, il protagonista di questo libro, sale sul suo scooter e per un’ora buona se ne va a zonzo nella sua bellissima città. Fin qui, nulla di insolito. Se non fosse che la città, Napoli, è deserta e blindata dal lockdown e che quell’uomo, Eduardo Cicelyn, fondatore del Museo cittadino d’arte contemporanea, compie anche un piccolo peccato di hybris: racconta le sue solitarie escursioni sulle pagine di un quotidiano. Il caso vuole che l’articolo finisca sulla scrivania dell’Unità di Crisi Regionale, che ne segnala il contenuto alla Prefettura, che lo trasmette a sua volta all’Azienda Sanitaria Locale. In ossequio alle ordinanze del presidente della Regione, all’autore viene imposta una quarantena di quattordici giorni, arresti domiciliari «volontari», come vengono definiti, che lo trasformano in uno «stralunato signor Bloom in pantofole» che può solo vagare fra cucina, studio e soggiorno. E rimuginare. Così da un curioso evento accaduto a Napoli durante il lockdown prende le mosse un memoir denso di considerazioni che spaziano dal destino di una generazione al rapporto tra arte e potere, dalla libertà di vivere e creare fino alla politica divenuta strumento di controllo della vita. Ed ecco che Quarantena napoletana, con il contrappunto delle magnifiche illustrazioni inedite di Francesco Clemente - uno dei più noti esponenti della scena artistica internazionale contemporanea - diventa il viaggio di Eduardo Cicelyn intorno alla sua stanza, un viaggio che ripercorre la storia recente di una città e il destino di una generazione, un viaggio in cui un piccolo esercito di amici, conoscenti, parenti, anime perse e fantasmi di stagioni remote viene ad abitare il tempo morto di una sospensione della vita pubblica, che non implica tuttavia la sospensione del pensiero e dell’arte, e dell’arte di scrivere.)
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