L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2016
Promo attive (0)
recensione di Perrella, S., L'Indice 1997, n. 3
La lettura dei libri degli amici è spesso vittima di una particolare forma di disattenzione; una disattenzione dovuta alla nostra contiguità con la loro vita. Quando un amico ci consegna un suo libro, sappiamo che in ogni frase ci sarà annidato per noi un iniziale rumore di fondo e che questo rumore di fondo disturberà la lettura come un sibilo, come un ronzio, come un mugugno. Noi ci aspettavamo - perché potevamo aspettarci qualcosa, anche se si tratta di un libro di esordio - un altro libro, oppure ci aspettavamo questo libro ma con un'esecuzione diversa, oppure... e ognuno può formulare il suo oppure.
Antonio Franchini è un mio amico e dunque anche i suoi libri non sono sfuggiti all'affettuosa disattenzione e all'ondulatorio rumore di fondo. Franchini, devo dire, fa di tutto per non suscitare aspettative su quel che scriverà o sta scrivendo, visto che ne parla con grande parsimonia. Da qualche tempo, però, si è formata dentro di me la convinzione che da Franchini bisogna aspettarsi molto. Non che il suo libro d'esordio - "Camerati. Quattro novelle sul diventare grandi" (Leonardo, 1992) - non mi avesse già convinto, soprattutto nelle prime tre novelle; e non che non fossi già stato "toccato" dall'ultimo racconto che dà il titolo al suo secondo libro, "Quando scriviamo da giovani" (Sottotraccia, 1996), un racconto degno del miglior Tondelli e che è, insieme, la testimonianza di una duplice amicizia: quella per una persona morta precocemente e quella per la persona che per la seconda volta suscita e vara editorialmente un suo libro: Francesco Durante.
È però con "Quando vi ucciderete, maestro?", terzo e nuovo libro, che non ho potuto non ricordarmi quanto mi aspettassi da Franchini. Un libro che testimonia di due frequentazioni passionali: quella dei libri letterari e quella delle palestre di arti marziali e pugilati vari. A differenza dei libri precedenti, questa volta avevo non solo sentito Antonio qualche volta parlarne, ma ne avevo letto delle parti, quando ero andato a trovarlo in un ospedale milanese, prima che si sottoponesse a un piccolo ma fastidioso intervento chirurgico. E dunque, se è vero quel che ho detto all'inizio, disattenzione e rumore di fondo avevano delle possibilità maggiori di proliferare.
E invece eccomi a leggere e rileggere questo libro e a provare per la prima volta a fare i conti per iscritto con le frasi del mio amico Franchini. Quelli che possono essere definiti i suoi temi dominanti in "Quando vi ucciderete, maestro?" ci sono tutti: la gioventù e l'incombenza di diventare grandi, in primo piano, come voi stessi potete evincere già dai soli titoli e sottotitoli dei primi due libri; l'interesse per i luoghi sociali della formazione: la scuola, l'università, la redazione, la palestra, ma anche Napoli, la sua città di nascita (1958), abbandonata dopo la laurea in lettere: una notevolissima Napoli "grigio ferro": memorabile "la discesa verso i binari della stazione di Piazza Amedeo" con "le sferragliate fuligginose dei treni" e l'"odore delle pietre arrugginite in mezzo alle traversine"; infine il rimuginio individuale e privato sulle proprie presunte manchevolezze. Lo sguardo è spietato; la spietatezza è però bilanciata e nutrita insieme dall'ironia, dall'autoironia e da un'inventività satirica che sa fermarsi dinanzi ai confini del sarcasmo. In più, un'esecuzione linguistica che ha dimenticato le volute impurità del passato: in questo libro, la nostra lingua è trattata con rispetto, pronta a scattare per impadronirsi con eleganza della cosa pensata o guardata.
Dopo essersi appagato di "rovesciare la timidezza in cinismo", come si legge in un racconto del primo libro, il Franchini di oggi ha saputo trasformare quel presunto e adolescenziale cinismo in un disincanto che non blocca la passione. Starete pensando che, come Sainte-Beuve, sto confondendo l'io che scrive di Franchini con il suo io che vive e che questa confusione derivi proprio dal fatto che lo conosca e gli sia amico; starete pensando, anche, che "L'Indice" ha scelto la persona meno adatta per recensire questo libro. Eppure è la sua forma a consentirmi una tale confusione: Franchini, infatti, vi prende la parola in prima persona; sembra, anzi, che lo muova una sotterranea e taciuta necessità di testimonianza; la testimonianza, ad esempio, di chi ha sempre "vissuto con estrema intensità la consapevolezza di appartenere a una delle prime generazioni, più o meno da quando l'umanità esiste, che non ha mai visto la guerra"; un suo omonimo zio, ci viene raccontato, è morto giovanissimo durante la prima guerra. La testimonianza, ancora, di chi ha scoperto che "non c'è niente da fare, anche il più colto, il più complesso, il più ambiguo degli uomini potrebbe essere inscritto, alla resa dei conti, in uno spazio elementare, contrassegnato dalle stesse avvertenze sugli oggetti inscatolati: alto, basso, fragile. Tutto lì".
Queste testimonianze nascono da alcune esperienze del corpo e della mente del Franchini uomo che il Franchini scrittore - ben nutrito anche da alcune pagine di Renato Serra, controfigura letteraria dello zio - ha trovato il modo di far respirare nelle pagine di questo libro. E niente mitologizzazioni né della mente né del corpo, semmai la saggia e ragionevole ricerca dei possibili isomorfismi: "Io non so se i meccanismi del corpo siano per forza più triti e scontati di quelli della mente, ma sono certo che tra l'involucro di carne di un uomo e i suoi pensieri debba esistere un legame molto stretto e indifeso. Indifeso perché è molto difficile avere un pieno, contemporaneo controllo sulle apparenze e sulle esibizioni sia del corpo che della mente. Da qualche parte ci dobbiamo tradire". Semmai, ancora, la constatazione che sia il pugilato sia la letteratura sono delle "apoteosi della solitudine". È il rispetto per questa solitudine che non rende mai saccente Franchini dinanzi ai libri (e alla vita) degli altri e in definitiva lo preserva dal cinismo che hanno molti, troppi lettori professionali.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore