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St. Mawr, è il titolo originale che è anche il nome di un cavallo. Probabilmente per Vittorini che lo tradusse, la pronuncia /mau̯r/ = aggettivo gallese per large; big; great (e non ho capito se /St/ stia per Saint o Street, boh!...); risultava ostica e così, tagliando la testa al bovide, "Il purosangue" fu. Chissà se a Lawrence sarebbe venuta la tentazione di reintitolarlo "The Thoroughbred" dando retta a Vittorini; secondo me ne avrebbe guadagnato. Scritto tre anni prima del suo più famoso e da me letto nell'altro secolo, "L'amante di Lady Chatterley", imperitura storia d'amore e di passione, qui sempre di amore e di passione si tratta: un amore fluido fra una donna e un cavallo nel quale lei vedeva, come mai aveva visto in un uomo, il dio nascosto in ogni cosa: il Gran Dio Pan. Si sa, la figura del cavallo (bianco, nero, alato, cornuto o ibridato) è una potente immagine mitica e archetipica, ma Jung a parte, è innegabile che questo animale eserciti un fascino tutto particolare; potente e virile anche quando è una cavalla. Seducente l'atmosfera gallese in questo romanzo dallo sviluppo che ho trovato interessante e stimolante e dalla grande capacità di analisi e introspezione psicologica (umana ed equina). Permeata da sottile erotismo, ottima la narrazione, e quasi perfetta la traduzione di Elio Vittorini, a parte l'uso reiterato dell'aggettivo 'codesto', tipico nell'italiano letterario di quel periodo (1933) che messo, in particolare, nella traduzione dall'inglese in cui la differenza fra 'questo' e 'codesto' non mi risulta esista, mi disturba sempre un pochino; un altro toscanismo, 'diaccia' (ghiacciata), invece è carino. Mi è arrivato pure un certo sentore di Némirovsky e un pizzico di Henry James.
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