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Anno edizione: 1995
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Dieci anni dopo la prima edizione Rizzoli, ritoccato e ampliato dall'autore (giornalista, narratore e saggista di collaudata esperienza), Il punteggio di Vienna ritorna col suo intreccio traboccante di invenzioni bizzarre e personaggi stralunati, misteriosi e monomaniaci. Come si conviene a una narrazione tipicamente padana di amori, persecuzioni e speranze: vicende dal Settecento al Novecento inoltrato, nelle quali si rincorrono e mescolano personaggi simmetrici, per "li rami" di più alberi genealogici e nell'enigmatica sopravvivenza ultrasecolare di almeno due di essi, veri crocevia degli snodi narrativi. Prototipo parrebbe il Furioso, ma qui i castelli d'Atlante e le maghe Alcine vestono panni più moderni e l'Angelica da inseguire è la Potta da Modena: reperto del decoro scultoreo nel Duomo di Wiligelmo, osceno ombelico junghiano di attrazioni e repulsioni, archetipo androgino di ambivalente seduzione. Meno compatto, sul piano narrativo, di un romanzo di Perez Reverte; meno ostentatamente dotto di un tomo di Umberto Eco; più scaltrito, in compenso, in ammiccamenti e sfarzi retorici ("ti zappa con lo zapping immagini morte dentro il cranio; ti chatta con la chat oceani di parole a tocchetti, a storpiature, a messaggini, a massaggini; a fondelli, a tondelli, a tornelli e ritornelli: sempre diversi, eppure sempre quelli": il corsivo è aggiunto); più angoscioso, nella sostanza dello stile, e dietro l'apparenza di trillo arbasiniano, per l'affiorare di talune immagini tragiche (il golem, la milza) o cupi pensamenti che "non basta la bautta di una facile battuta ad arginare"; il romanzo di Barbolini non ci pare possa sottrarsi – come invece suggerisce Bertoni nella pur bella postfazione – all'etichetta del postmoderno: e proprio perché "non c'è debolezza di pensiero, in questo libro, né la minima traccia di superficialità combinatoria e citazionista fine a se stessa" (Bertoni), Il punteggio di Vienna è un esempio del migliore postmoderno italiano. Che forse è già finito, almeno nella coscienza dei tanti che non sarebbero disposti a sostenere, con Barbolini, che "ricordare. Non è questa, da sempre, la vera forma della conoscenza?".
Giuseppe Traina
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