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Partendo da un'analisi storica del sistema delle prove legali, le pagine di Prova legale e libero convincimento del giudice" mirano a verificare se, pur contestati i suoi fondamenti sul piano astratto, in concreto la prova legale ancora garantisca quegli effetti di economia processuale e di razionalità pragmatica che costituiscono l'utilità caratteristica del sistema: l'applicazione giurisprudenziale delle norme in materia, in altre parole, conferma l'attuale superamento del modello già denunciato dalla dottrina sul piano dell'attitudine ad accertare la realtà? Oppure le regole di prova legale almeno in parte comportano, attraverso la semplificazione della fase istruttoria, una più economica indagine dei fatti? E, in tal caso, i pretesi vantaggi in termini di accelerazione dei tempi del processo giustificano quel "deficit di verità" connaturato al rischio di vincolare il giudice all'accertamento di un fatto difforme dalla realtà, perché basato su una prova falsa? Si tenterà dunque di verificare se l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza alle norme sulla confessione, sulla prova documentale e sul giuramento risponda effettivamente alle massime tralatizie per cui i fatti dimostrati da una prova legale non possono non considerarsi definitivamente accertati, e, in dottrina, alla formula per cui il conflitto tra prova piena e riscontri sottoposti al prudente apprezzamento, data la posizione della prova legale "un gradino sopra" la prova libera, si risolve naturalmente con il sacrificio dei secondi. Oppure se all'intero genus delle prove legali debba estendersi l'opposta opinione di Calamandrei, secondo il quale il giuramento – che, prima ancora di essere prova legale, "è prova" – deve "arrestarsi di fronte alla contraria convinzione del giudice""
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