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Ottimo libro. L'ho letto nel lontano 1999 e oggi, nel 2009, lo trovo più che mai attuale, visti i venti di neo-proibizionismo in atto.
“Proibizionismo e antiproibizionismo” di Angelo Averni - ed. Castelvecchi recensione di Gabriella Bona Non era impazzito John Torrio, il famoso gangster che, durante il periodo del proibizionismo sugli alcolici che fu in vigore negli Stati uniti dal 1920 al 1933, finanziava le campagne che proibivano la produzione e l’uso delle sostanze che lo rendevano ricco, né i capomafia che si opposero fino alla fine alle tesi e alle lotte antiproibizionistiche. Avevano semplicemente capito che la proibizione era la fonte dei loro guadagni: la clandestinità e il contrabbando portavano nelle loro casse quantità di denaro che mai il commercio legale avrebbe potuto portare. Ma non soltanto la proibizione faceva aumentare enormemente i consumi e i guadagni, creava anche una situazione di diffusa illegalità, il pubblico disprezzo delle leggi e delle istituzioni, l’intasamento dei tribunali, la corruzione diffusa tra i funzionari pubblici, tutte cose che rendevano molto all’organizzazione mafiosa. Nel volume “Proibizionismo e antiproibizionismo” di Angelo Averni, pubblicato da Castelvecchi, troviamo una precisa, attenta e documentata analisi dei proibizionismi che si sono susseguiti nei secoli e dei loro disastrosi risultati. Il tabacco è stato a lungo proibito e coloro che erano scoperti a fumare, a produrre o a vendere tabacco subirono condanne che andavano dalla berlina al taglio delle labbra alla pena di morte. Come per l’alcool, il proibizionismo cadde e la maggior parte degli stati lo sottopone a regime di monopolio, incrementando in questo modo i propri guadagni: ciò che fino al giorno prima era considerato reato diventa, all’improvviso, un’impresa gestita dallo stato. Oggi il proibizionismo è concentrato sulla droga e sta producendo gli stessi danni umani e sociali che produssero gli altri regimi di divieto, compreso quello sul caffè nel sedicesimo secolo. Il consumo di droga continua ad aumentare, i costi sociali e sanitari stanno diventando insosten
da Italia Oggi, lunedì 6 settembre 1999, p. 17 - "Istinto è delle umane menti che ciò che più si vieta uom più desia". Basterebbe la saggezza del Tasso per decretare la sconfitta, ideologica e sostanziale, del proibizionismo. Ma come e quando nasce questa corrente di pensiero che si è trasformata in un potente moltiplicatore della criminalità e sta oggi alla base dei lucrosi affari che girano attorno al mondo degli stupefacenti? La risposta in un volume di grande interesse realizzato da uno studioso del tema, che collabora con l'Università "La Sapienza" di Roma. Il proibizionismo sul tabacco affonda le sue origini nei primi anni del seicento quando il re d'Inghilterra scrisse un violento pamphlet contro il fumo: in Francia lo si è definito "atto abominevole", in Germania lo si vietò nei locali pubbliche anche papa Urbano VIII non fece mancare una Bolla (siamo nel 1642) con cui con cui si scomunicava chi avesse fumato o fiutato in chiesa: con il risultato di far interrompere continuamente le cerimonie sacre con l'andirivieni di chi usciva per fumare. Pochi anni dopo Innocenzo XI comminava la sospensione a divinis per i sacerdoti che fumavano in sacrestia. In ogni caso il proibizionismo fu un fallimento e si riuscì a limitarlo solo gravando certi consumi di balzelli di tipo economico e monopolizzandone la distribuzione da parte dello Stato. La proibizione dell'alcol iniziò in larga scala sul finire dell'Ottocento e i suoi effetti, soprattutto negli Stati Uniti, si sono versati fumi di inchiostro ottimamente sintetizzai nel testo. Non diverse le conseguenze del proibizionismo che ha investito le droghe. Basandosi sui risultati del monopolio di Stato dell'oppio si dimostra che l'intervento sul mercato su larga scala può eliminare in grande misura il mercato nero. Ma la sua eliminazione totale è impossibile e, semmai, si otterrebbe solo con il gratuito rifornimento, che non è l'obiettivo di chi scrive. Un campo interessante quello del proibizionismo, in cui problematiche morali si intrecciano, impropriamente, c
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