I rapporti fra lo Stato e i sindacati rappresentativi si sono tradizionalmente sviluppati sul binomio non indifferenza-non ingerenza. Nell'ordinamento italiano, il legislatore sostiene e promuove l'azione sindacale, anzitutto nei luoghi di lavoro, senza interferire con la regolazione interna alle stesse organizzazioni, al fine di salvaguardarne l'autonomia. Questa impostazione viene dalla elaborazione teorica di un preciso momento storico - gli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso - e si sviluppa prendendo in considerazione un modello organizzativo sindacale "snello", formato dall'intreccio tra la dimensione categoriale e quella confederale. Nel tempo successivo, i sindacati rappresentativi sono entrati, invece, in una fase più matura del loro ciclo di vita, caratterizzata dall'espansione dell'ambito delle attività e, conseguentemente, dell'assetto strutturale. Il volume intende verificare se la complessità del contesto organizzativo odierno ponga problemi giuridici nuovi rispetto al passato. Nella prima parte, approfondisce tutti i principali profili endosindacali inerenti al commissariamento, al procedimento elettorale, al sistema disciplinare, alle modalità di finanziamento e di rendicontazione. La tesi è che esistano rilevanti ragioni che suggeriscono di ripensare il tradizionale inquadramento dottrinale e, tra queste, l'aumento della conflittualità interna e l'accresciuta importanza della trasparenza finanziaria. Di qui, nella seconda parte della ricerca, l'autrice delinea i presupposti per un più equilibrato rapporto tra la salvaguardia dell'autonomia organizzativa e la tutela degli iscritti, proponendo una lettura coordinata degli artt. 1, 2 e 39, co. 1 della Costituzione. A questo fine, il volume dedica un'attenzione particolare alla dimensione comparata, che offre significative esperienze di valorizzazione della prospettiva del bilanciamento, con indirizzi orientati al pieno ed effettivo contemperamento degli interessi che animano questa delicatissima materia.
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