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Mirella Serri è un'accattivante giornalista che si dedica di tanto in tanto a saggi storici di respiro, perlopiù su temi scabrosi, su personalità o aree lasciate a margine. Lo fa con non celato spirito revisionista, ma con ricchezza di documentazione e scrittura piana. Se non che il gusto di inquadrare i temi prescelti da inedite prospettive e la vis polemica sottesa la spingono spesso a non trovare l'equilibrio richiesto a una storiografia laica, finalmente emancipata da deformanti intenti controversistici. E anche in questo volume affiora la tendenza a forzare la ricerca, a promettere più di quanto si offra, a estenderne oltre il dovuto i pur enunciati limiti. Sarebbe stato più corretto dire che l'intendimento fondamentale era portare in evidenza le vicende di un quotidiano, "Risorgimento Liberale", certo tra i meno citati e indagati tra quelli che fiorirono nell'immediato secondo dopoguerra. Il quotidiano, di ispirazione liberale, uscì clandestino nel 1943 e spirò definitivamente il 20 ottobre 1948. La direzione di Mario Pannunzio gli impresse agli inizi un stile riconoscibile e battagliero.
È la stessa Serri che ci aiuta a comprendere le distorsioni in chiave attualizzante che il suo saggio ha subito: partita dall'idea di svolgere un'estesa ricognizione del quotidiano (dunque dandosi come obiettivo la stesura di un saggio di storia del giornalismo, materia del resto del suo insegnamento alla Sapienza di Roma), in realtà ha finito per rievocare la "sfida cruenta tra vincitori", cioè tra il filone democratico liberale dell'antifascismo e quello egemonizzato dai comunisti. La sfida qui ripercorsa è principalmente ricavata dagli articoli di "Risorgimento Liberale" e soprattutto da quelli di condanna delle violenze di una guerra civile che sporadicamente proseguiva in forme subdole e nuove, oltre il 25 aprile. "L'intenzione sintetizza l'autrice era di ricomporre i numerosi tasselli del dibattito intellettuale alla fine della seconda guerra mondiale", continuando per certi aspetti il lavoro già avviato con I redenti (Corbaccio, 2005). "Ma chi scrive aggiunge subito dopo si è trovata di fronte a uno scenario veramente inatteso. In primo piano non le polemiche dell'intellighenzia ma un risuonar di armi non solo metaforico".
Probabilmente, a suggerire un diverso asse di ricerca è stata più che altro la nuova attenzione accordata anche da inchieste di largo successo allo stillicidio di omicidi e persecuzioni riconducibile sovente ad azioni di precisabili settori del partigianato. Niente da eccepire se una fonte a stampa viene usata per portare in primo piano una catena di fatti finora tenuta in oscurità, ma se si hanno a cuore i fatti occorre scegliere risolutamente la strada di una storia rerum gestarum, mentre se si predilige la storia delle idee è essenziale mettere in rilievo il confronto tra visioni e filosofie, impiegando tutti gli strumenti adatti alla bisogna. Le pagine di Serri rimangono invece a mezza strada: non soddisfano chi vi aveva intravisto un contributo in grado di arricchire o rivisitare quanto si conosce sugli ambienti dell'antifascismo di marca liberale e non possono soddisfare coloro che si attendevano, magari, capitoli più événementiels circa l'arco di anni che va dal '43 al '48, il quale sempre più si presenta come una sorta di confusa transizione tra la fine del conflitto e il definitivo delinearsi di un nuovo sistema politico.
Anche la tematizzazione abbozzata la separazione e lo scontro "tra le due sinistre" ubbidisce a una semplificazione molto giornalistica. In realtà è improprio parlare di una "sinistra terzista", incarnata da una minoranza come quella raggruppata attorno al quotidiano di Pannunzio. Oltretutto è la stessa Serri ad affermare che il gruppo attivo attorno al foglio "voleva configurasi come un 'partito di centro'", come un nucleo capace di interpretare le domande dei ceti medi disponibili a una "stretta collaborazione con i ceti operai". Che le forze della sinistra abbiano raccolto le bandiere più logore della borghesia e siano state distratte o intolleranti verso lungimiranti impostazioni è in buona misura accertabile. Alcuni tonanti e sarcastici articoli di Togliatti (come Guarite dalla lebbra, signori democratici, su "l'Unità" del 30 ottobre 1947) fanno impressione per asprezza di toni e dogmatismo di contenuti. E la sconfitta non venne accidentalmente. Quello fu allora il composito fronte delle sinistre e quello lo schieramento di chi si batté per ricavare uno spazio di centro non succube del clericalismo, non arrendevole verso il "partito nuovo". All'indagine storiografica spetta il compito di farci capre perché quei "profeti" il termine religioso però non va tanto bene non riuscirono ad "armarsi" con un'organizzazione adeguata alle trasformazioni sociali intervenute e alle finalità più accolte e mobilitanti.
Roberto Barzanti
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