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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
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Secondo una leggenda africana alcuni uomini hanno un doppio animale, un doppio nocivo, che per Kibandi è un porcospino. L’iniziazione avviene quando il bambino si reca con il padre nella foresta e, costretto a bere il mayamvumbi, si crea il legame tra i due. Il doppio è costretto ad assecondare il padrone in ogni sua azione e da bambino come tanti, Kibandi diventa un feroce assassino, pronto ad uccidere chiunque gli metta i bastoni tra le ruote e il porcospino è sempre suo complice, utilizzando gli aculei come arma. Rimasto da solo, il porcospino si rifugia sotto un baobab e racconta la sua strana vita al fianco di Kibandi. Con “Memorie di un porcospino” ho partecipato al gruppo di lettura #mamaAfrica di @l_ibriota che ringrazio per avermi fatto leggere un testo che molto probabilmente non avrei mai letto in solitaria. Il bello delle letture condivise! Tra l’altro ho acquistato il libro su Vinted a pochi euro. Anche voi comprate/vendete su Vinted? E’ stata una lettura inizialmente piuttosto ostica, ma dal momento che la voce narrante è il porcospino non è facile immedesimarsi subito nel protagonista. Poco male, perché è una caratteristica non comune nei libri che leggo e l’ho trovata originale. Il testo è caratterizzato da uno stile di scrittura molto profondo e dettagliato, con frasi estremamente lunghe (che non ho apprezzato) e discorsi introspettivi. Numerosi i richiami alla cultura e ai riti africani che hanno reso questa esperienza positiva e ricca di nozioni che mi hanno incuriosita. Consigliato a chi cerca un libro che si estrania completamente dai soliti.
Il tema del doppio, caro a tanta letteratura, è declinato sulla base della tradizione africana che associa alla parte ‘nociva’ dell’individuo un animale che si incarica di ‘mangiare’ (ovvero eliminare) chi lo intralcia o lo irrita. In questo caso, il porcospino si dimostra piu’ sensibile e acuto di molti cugini delle scimmie, come vengono definiti gli umani. Stimolato dal senso di colpa, filosofeggia e ricostruisce la sua storia tra le radici di un vecchio e solido baobab. Il padrone in fondo piu’ che un malvagio è una vittima, prima del padre, autore del rituale magico di sdoppiamento, poi di compaesani ora invidiosi, ora irridenti. L’astio si accumula negli anni e si somma alla solitudine, rendendo il doppio nocivo sempre piu’ vorace, fino alla fatale autodistruzione. Mabanckou usa il medesimo stile di ‘Pezzi di vetri’, periodi lunghissimi intervallati solo da virgole, a imitazione del racconto orale. La scrittura però resta colta e suadente, sfoggia ironia e sarcasmo sia verso I bianchi a caccia di folklore locale sia verso gli intellettuali africani che si immergono nei libri e si elevano sprezzanti sopra il loro vecchio mondo.
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