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recensione di Guidetti Serra, B., L'Indice 1997, n.10
Il titolo è kafkiano. Ma già sulla copertina la grinta imperatoria di Romiti fa capire che siamo lontani da Praga. Il processo è quello condotto dai magistrati di "mani pulite" prima milanesi e poi torinesi contro il vertice Fiat. È raccontato da tre giornalisti con ricco appoggio di documentazione anche processuale. Gli autori aprono la narrazione con una sorpresa (o quasi): l'indagine è stata preceduta da un annoso sotterraneo scontro interno tra Umberto Agnelli e i suoi uomini di fiducia da una parte e Romiti e i suoi luogotenenti dall'altra.
Ora i magistrati di "mani pulite" nel corso delle perquisizioni ordinate hanno avuto la fortuna di mettere le mani su una serie di documenti firmati da Umberto Agnelli, o da uomini di sua fiducia a livello direttivo, coi quali si chiedevano a Romiti, allora amministratore delegato, e a Gianni Agnelli, presidente, chiarimenti e precisazioni sull'andamento e sulla gestione dell'azienda, avanzando il sospetto che i bilanci e i documenti contabili fossero stati manipolati. Ma, esortato a intervenire, Gianni Agnelli dopo aver oscillato finiva con lo schierarsi sempre con Romiti. Questi, da parte sua, chiedeva sprezzantemente di poter lavorare senza interferenze. Secondo gli autori l'atteggiamento dell'Avvocato sarebbe stato determinato dall'alleanza tra Cesare Romiti ed Enrico Cuccia. Un'alleanza così forte da costringere col ricatto economico Gianni Agnelli a rinviare le sue preannunziate dimissioni dalla presidenza della Fiat e a tagliare definitivamente la strada all'Umberto da tempo aspirante alla stessa presidenza.
In questa ambigua situazione irrompono i magistrati con le accuse di falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. In quei giorni tesi dei primi anni novanta si succedono a raffica gli arresti dei boiardi della Fiat: alcuni tacciono per mesi anche in galera, altri, più malleabili od ostili all'amministratore delegato, mollano e rivelano una parte almeno di quello che sanno. I magistrati scoprono così irregolarità di vario genere: "tangenti" a uomini politici e a responsabili di lavori pubblici al fine di ottenere vantaggiosi contratti e appalti; fondi neri accumulati all'estero con tortuose procedure dai quali vengono attinti i soldi per premi a dirigenti dell'azienda e a personaggi esterni senza controllo o motivazione, ecc.
I magistrati risalgono così di gradino in gradino fino al comitato finanziario presieduto da Romiti che controlla tutto, fino alle spese minime, e appare scarsamente credibile quando sostiene che i sottoposti hanno agito a sua insaputa. La Fiat tenta di arginare questa minacciosa scalata non esitando a sacrificare i dirigenti inferiori pur d'impedire il raggiungimento dei vertici. A ogni nuovo arresto reagisce con proteste d'innocenza o almeno di buona fede. Ma la tattica della negazione si rivela insostenibile. Finché un colpo di scena: Romiti in persona scende in campo proclamando che l'azienda ha deciso di collaborare con la giustizia. Ma appare ben presto che un suo memoriale, presentato di persona, lascia profonde lacune e contraddizioni non risolte. Infine trapela la notizia: Romiti è indiziato. Piovono smentite sdegnate e meno di una settimana dopo l'amministratore delegato viene addirittura promosso a presidente della Fiat al posto di Gianni Agnelli che si dimette esprimendo solidarietà agli inquisiti e fiducia nella magistratura.
Gli autori proseguono con una vera e propria galleria di personaggi che aprono una prospettiva sul regime interno dell'azienda. Veniamo così a conoscere (è un piccolo esempio!) la funzione, quasi occulta, di alcune delle fidatissime "tote" (letteralmente "signorine"), segretarie-istituzione di alcuni leader delle varie società del gruppo bruscamente allontanati. La galleria si conclude con un ritratto di Romiti, personalità indubbiamente poliedrica. "Romanaccio" caduto fra i "sabaudi" della Fiat tradizionale, avrebbe introdotto i disinvolti giochi di potere propri della capitale combinati con uomini politici, Craxi in testa. Gli stessi politici che interrogati dai magistrati non hanno esitato a indicare nel "Cesare" di corso Marconi l'autore di generose donazioni. Si arriva così al dibattimento a porte chiuse. Gli imputati hanno scelto non a caso il rito abbreviato per contenere la pubblicità dei fatti. La difesa, oltre a muovere una miriade di eccezioni, tenta anche di spostare il processo a Roma (dove la Fiat ha già ottenuto per vicende relativamente analoghe tre proscioglimenti; procedimenti poi riaperti grazie all'efficace intervento dei magistrati subalpini).
Il 9 aprile 1997 la sentenza: Cesare Romiti e il direttore centrale finanziario Francesco Paolo Mattioli sono condannati per falso in bilancio e finanziamento illecito dei partiti. Il primo, ritenuto responsabile anche di frode fiscale, a un anno, sei mesi di reclusione e multa; il secondo a un anno, quattro mesi e multa. Per entrambi l'interdizione dagli uffici di pubblico amministratore.
La storia non finisce qui. Da un lato perché pende l'appello, dall'altro perché gli inquirenti hanno piazzato sulla loro strada vere e proprie mine vaganti in corso di approfondimento. Una serie di rogatorie all'estero su altri episodi; la richiesta di approfondimento sulle trading, singolari società di scambio che avrebbero permesso di costituire all'estero fondi neri; la strana storia di tale Pascucci che sarebbe riuscito a spillare a una società del gruppo poco meno di dieci miliardi con motivazioni ancora misteriose; altre operazioni in cui sarebbe entrato l'immancabile Chicchi Pacini- Battaglia; la discussissima vendita-acquisto dell'Alfa Romeo; il caso davvero incredibile di certo M. Fasano direttore della sede di Nassau della Overseas Union Bank and Trust (presunta banca "off shore" delle tangenti Fiat, nel paradiso fiscale delle Bahamas) coinvolto in un caso di riciclaggio. E altri ancora. È perfino stato aperto, pare, un procedimento a seguito delle affermazioni fatte dallo stesso Romiti nella sua foga difensiva e riguardanti l'apparato di sicurezza della Fiat in cui sarebbero stati introdotti elementi della famigerata organizzazione Gladio.
Il libro ha dunque il merito di rivelare significativi aspetti e retroscena della situazione interna Fiat. Aspetti e retroscena che sono stati singolarmente minimizzati dalla stampa nazionale anche per motivi non apprezzabili da alcuni professionisti dell'informazione. Per cui i tre autori riscatterebbero, almeno per quanto loro compete, la categoria da quei penosi errori di valutazione, offrendo una documentazione accessibile e di prima mano.
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