Un amore perduto è l'emblema della caducità delle cose, della malinconia che avvolge la loro natura temporanea. L'incontro con Nam, giovane in fuga dalla sua terra, spinge la protagonista Lan a confrontarsi con il proprio paese d'origine, quello in cui non è nata - lei, francese benestante - ma dal quale vengono i suoi familiari, esuli della diaspora seguita alla guerra d'Indocina. Le tradizioni apprese dall'amatissima nonna, il rigore e la determinazione dei genitori nell'integrarsi con successo in un paese straniero, la tenacia di Nam nel guadagnarsi la cittadinanza francese, la bellezza e crudeltà del Vietnam, la vergogna di non aver dovuto lottare e avere, ugualmente, tutto: sono i tratti della storia di coloro che oscillano tra mondi diversi, non per scelta ma per fatale accadimento. In un'atmosfera sospesa tra autobiografia e finzione, dove le leggende popolari sono cornice e strumento di interpretazione della vita, Lan diventa il paradigma del disagio della second generation nel rapporto con le origini. Lo stile preciso e garbato della Huy scardina i luoghi comuni sull'identità culturale e sulla riscoperta delle radici. "Il mondo l'avevo conosciuto in francese, leggevo in francese, pensavo in francese. [... ] Si poteva davvero parlare di "radici" quando queste erano state recise il giorno stesso in cui ero venuta al mondo a Clamart?". Sì, perché la forza del passato è una radice feconda che segna il volto per sempre.)
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