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Romanzo della disillusione, più che del disincanto, ma anche teatro di conflittualità fra tipi psicologici che dovrebbero incarnare diverse regioni della società vittoriana, «Principessa Casamassima» è in realtà una delle opere meno riuscite di James, e per una ragione tangibile: il Leitmotiv che fa da guida all’intera narrazione, ossia la rabbia dei circoli rivoluzionari proletari di fine ’800, è qualcosa di troppo lontano dal suo mondo, dall’ambiente in cui l’autore viveva e che ben conosceva. Tuttavia si notano interessanti echi flaubertiani nella trattazione del rapporto individuo-collettività: una delle protagoniste, ad esempio, «racchiudeva in sé il vociare scanzonato e ignorante delle masse e partecipava della loro consapevolezza che, se un giorno fosse stato necessario usare la forza, l’avevano a portata di mano» (p. 106). Sono parole simili a quelle che si incontrano qua e là ne «L’educazione sentimentale» , dato il proverbiale disprezzo che Flaubert provava verso le masse urbane.
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