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Entra, grazie a questa ristampa, nell’olimpo tutt’altro che affollato dei classici dedicati alla Costituzione italiana il testo che, mescolando disinvoltamente il pamphlet politico, il saggio giuridico, e il racconto storico-memorialistico, Lelio Basso, politico socialista, pubblicava nel 1958, a dieci anni di distanza dall’entrata in vigore della Carta costituzionale e alla vigilia del terzo mandato parlamentare della ancor nuova Repubblica. Con l’inesausta vocazione del costituente, attento più che mai alla minuta e rivelatrice trama dei fatti quotidiani, Basso misurava allora, alla luce dello sviluppo delle democrazie di tipo occidentale, la distanza tra gli ideali di libertà politica e giustizia sociale che "lo spirito della Resistenza" aveva quasi unanimemente voluto trasferire nel dettato costituzionale, e l’inosservanza, sistematica ancorché sfacciata alla prova dei fatti, dei principi, degli istituti e delle garanzie fondamentali che tale dettato aveva avuto il merito di innalzare a dignità di norma giuridica. Non occorreva del resto essere costituzionalisti per rilevare la tendenza generale del decennio appena trascorso ad accantonare, attenuare o falsare le riforme che la Costituzione aveva accordato, dall’istituzione dei Consigli regionali al riordinamento del Tribunale supremo militare, dall’attuazione del Consiglio superiore della magistratura e della Corte costituzionale all’attivazione del referendum. La scarsa sensibilità democratica del tempo, unita a illecite pratiche politico-giuridiche come l’"ostruzionismo della maggioranza" e l’oziosa distinzione tra norme costituzionali programmatiche e precettive, avevano silenziosamente e colpevolmente "congelato" la Carta costituzionale, degradandola da lex legum a "esercitazione da dilettanti", "trappola da scansare" in nome di una continuità tra vecchio stato fascista e nuovo stato repubblicano che Basso non mancava di sottolineare seguendo passo passo l’iter di revisione e adeguamento costituzionale della legge di Pubblica Sicurezza e dei Codici civili e penali. L’evidente insofferenza nei confronti di ogni deviazione apportata all’originaria Costituzione, in cui confluivano parimenti il rispetto della "legalità costituzionale" come valore in sé e la preoccupazione nei confronti di una "curvatura autoritaria" dell’intero sistema politico istituzionale, non arriva tuttavia a irrigidire completamente il volume di Basso, che, sorretto da continui richiami alla più vasta e colta tradizione giuridica e politologica (da Kelsen a Keynes, da Calamandrei a Mortati, da Salvemini a Constant, da Jemolo ad Amorth a Parri), riceve infatti tono e spessore soprattutto dalla rilettura del tema grandissimo della sovranità popolare: e se, come sostiene Rodotà nella bella prefazione al libro, "colpisce, e forse disturba" leggere di un "uomo protetto", cioè "circondato dalle necessarie garanzie e tutele che gli danno la certezza dei mezzi di sussistenza nelle diverse situazioni in cui si trova" che avrebbe preso il posto del cittadino tipico dei regimi liberali, non nuoce certo ribadire oggi un importante aspetto dello sviluppo democratico: quello contenuto nel passaggio dal mito della nazione, astrazione che i notabili avevano preteso di rappresentare, alla realtà del popolo concreto, dalla "democrazia governata" alla "democrazia governante" che consacrò, in modo irreversibile, la partecipazione continua del cittadino all’esercizio del potere e costituzionalizzò, in modo indissociabile, gli strumenti (il partito politico e il sistema elettorale proporzionale) che questa partecipazione avrebbero potuto e dovuto inverare, contro le periodiche tentazioni antidemocratiche e conservatrici, e attraverso una continua e necessaria opera di mediazione e razionalizzazione.
recensioni di Amodei, I. L'Indice del 1999, n. 10
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