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Penso che il romanzo avrebbe avuto un voto pieno se fosse stato più asciutto ed essenziale, senza quei contorcimenti americaneggianti che fanno perdere vigore al mistero di un padre dalla doppia vita.
Non sono riuscita ad apprezzare pienamente questo romanzo perchè l'aver letto "il nazista & il barbiere" mi ha condizionato. Comunque anche leggendo questo romanzo è inevitabile fermarsi a riflettere sul bene e il male come valori assoluti dell'umanità e sulla capacità di perdonare. Credo che si tratti di riflessioni importanti in questi tempi incerti.
libro molto bello e commovente. Scritto molto bene, offre delle introspoezioni molto interessanti.
Recensioni
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Un romanzo, quello di Michael Lavigne, che si legge tutto d'un fiato. Una trama intrigante, intelligentemente costruita e sorprendente fino alle ultime pagine. Quasi un thriller o, più semplicemente, una storia di vita, improbabile eppure paradossalmente possibile nell'universo grottesco e tragico della storia del '900.
Michael riceve dal padre malato di Alzheimer ventiquattro volumi di diari con la copertina in pelle consunta. Non vuole leggerli. Non gli interessa affatto sapere del suo passato: che cosa avrà mai da raccontare uno che ha gestito un negozio di carta da parati per tutta la vita? Ma gli occhi di Heshel sono torbidi, hanno qualcosa di oscuro in fondo, di inquietante. Michael non riesce a resistere alla tentazione di scoprire cosa rappresentino quelle pagine ingiallite: perché appaiono improvvisamente? Cosa nascondono? Perché proprio ora che non è neppure in grado di riconoscerlo, Heshel vuole parlare proprio con lui?
Michael sa del padre che è nato in Germania da una famiglia di intellettuali socialmente ben integrata a Berlino, che è cresciuto in un ambiente rigidamente tedesco in cui non si parla yiddish, che ha trascorso anni spaventosi nei campi di concentramento e che dopo la guerra si è trasferito in America. Tuttavia, quando apre il primo volume dei diari, scopre che questi sono scritti in tedesco: la lingua della giovinezza, ma anche la lingua della sofferenza, del nemico. La calligrafia però scorre naturale, elegante e antiquata come quella che si vede nei documenti degli archivi nazisti. Perché? Perché un ebreo reduce dai campi di concentramento decide di redigere il suo diario nella "lingua della morte"? Forse perché Heshel Rosenheim non è affatto ebreo. è tedesco. Il suo vero nome è Heinrich Mueller. è stato a Bergen Belsen, ma non come deportato. Come SS. Michael scopre, pagina dopo pagina, che il padre si era arruolato per godere dei privilegi riservati ai militanti del Corpo Nero di Himmler ed era stato spedito in diversi Lager come ufficiale addetto alla contabilità del campo. All'avvicinarsi del crollo del Reich aveva deciso di cambiare identità: dopo aver digiunato per settimane si era travestito con gli stracci di un deportato e tatuato un numero d'identificazione sul braccio per rendere più credibile la metamorfosi. Infine, una volta trovato dalle truppe inglesi, si era appropriato dell'identità di un suo sottoposto ebreo, scomparso nel lager di Majdanek, Heshel Rosenheim, appunto.
Michael, travolto da questa rivelazione, non sa darsi pace. Lui che per anni si era sentito soffocare dalla devozione ebraica che i genitori gli avevano imposto per tutta la vita, che aveva iniziato a studiare il tedesco seguendo il desiderio perverso di contrastare la volontà del padre e che non sopportava che anche la sua generazione dovesse soffrire della "sindrome da campo di sterminio", al capezzale di Heshel/Heinrich deve fare i conti con un segreto tragico. Com'è possibile che "uno degli esseri umani più dolci, affettuosi e generosi sulla faccia della terra" sia stato complice di uno dei genocidi più atroci della storia?
Il romanzo (che ricorda la vicenda di Schulz/ Finkelstein, protagonista de Il nazista & il barbiere di Edgar Hilsenrath), si duplica così nella storia terribile di Mueller/Rosenheim e di suo figlio. Un filo teso fra realtà e finzione, paura e amore, colpa e perdono.
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