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"Beato colui che non ha mai messo piede in archivio", dichiarava Virgilio nelle Georgiche. I tre saggi raccolti in questo libro esortano invece, con entusiasmo, a frequentare gli archivi e a comprenderne il ruolo nella società contemporanea. Le vicende di quest'istituzione nell'Italia del secondo dopoguerra, dalla nascita dell'Archivio centrale di Stato fino quella del concetto di Beni culturali, illustrano esemplarmente i rapporti dell'archivio con la moderna ricerca storica: l'impiego e la corretta valutazione delle fonti, scritte, audiovisive e digitali, accomuna infatti le due discipline e ne raccomanda più che mai la stretta collaborazione. Riflettere oggi sul significato della narrazione storica e sulla distanza che la separa da quella di finzione, in nome di un principio di verità, significa anche interrogarsi sull'archivio come strumento indispensabile della memoria collettiva e individuale: di quella "memoria-identità" che può essere privata e familiare, ma anche locale, nazionale e perfino globale. Bene fanno, dunque, gli autori del volume a studiare il rapporto degli archivi con il potere e le variabili modalità giuridiche che ne regolano il funzionamento, poiché l'accessibilità, la segretezza e perfino la manipolazione dei documenti sono problemi insieme storici e politici: legati da una parte alla nozione di segreto di stato, dall'altra a quella dei diritti civili. Ma fanno altrettanto bene a descrivere l'immagine dell'archivio nelle rappresentazioni letterarie e artistiche: spesso descritto come un luogo desolato dell'oblio, esso appare anche come un intreccio fra passato e presente, i vivi e i morti, attraverso il quale (secondo le parole di José Saramago) "la volontà del ricordo potrà perpetuarci la vita".
Rinaldo Rinaldi
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