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Post mortem è uno di quei rari libri che vanno fino in fondo, con una radicalità impassibile che lascia sconcertati sin dalle prime righe e non viene meno sino alle ultime. Queste pagine furono scritte da Caraco subito dopo la morte della madre, a cui lo legava un tropicale rigoglio di amore, disamore, odio, dipendenza, passione. Così, in «linguaggio amoroso», e quasi scandendo un’omelia funebre, Caraco ha raccontato un rapporto terribile per intensità e ambivalenza. Sua madre, donna frivola, devota a ciprie e belletti, ornamento di feste in consolati sudamericani, era al tempo stesso la «madre divoratrice» e la «Mater Gloriosa». Caraco la celebra come un sacerdote, conscio di essere stato mutilato sessualmente dalla dea. Ma quella mutilazione aveva segnato anche la sua iniziazione. E il figlio aveva rincarato sui precetti della madre: lei voleva solo fargli rifiutare il sesso (quindi le altre donne), lui si spinse sino a rifiutare la vita e passò i suoi anni a scandagliare, in perfetta solitudine e nella più pura prosa classica, il Nero dell’esistenza. Questo piccolo libro (1968), nucleo di una imponente concentrazione di forze, è il primo testo pubblicato in Italia di Albert Caraco, alla cui vita dedica una Nota profondamente partecipe il suo primo vero lettore, e poi editore, Vladimir Dimitrijevic.
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