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Questo saggio è la prima traduzione mondiale di un testo di Pavel Florenskij risalente al 1922 e fortunosamente riemerso in Russia in anni recentissimi. Nato nel 1882, fucilato nel 1937 dopo essere stato deportato nell’estremo Nord della Russia, Florenskij è una soggiogante figura di mistico, filosofo, matematico e teologo, quale poteva apparire soltanto in quella prodiga fioritura di genialità che si ebbe in Russia nei primi anni di questo secolo. Chi poté conoscerlo ha testimoniato dell’immenso potere che aveva la sua persona. Per decenni i suoi scritti furono, per molti russi, una leggenda – e inappagato il desiderio di ritrovarli. Oggi, a poco a poco, e per vie traverse, essi ricominciano a filtrare, in Russia e in Occidente.
Il mondo della pittura di icone, che Florenskij ci svela in queste pagine, rimarrebbe per sempre incomprensibile se lo si avvicinasse con i consueti strumenti della critica d’arte. Esente dalla prospettiva, incompatibile con la concezione della pittura dominante in Occidente dal Rinascimento in poi, l’icona presuppone una metafisica delle immagini e della luce. Ed è a questa metafisica che Florenskij ci introduce, scendendo poi in analisi storiche acutissime, che svariano dalla pittura fiamminga alle tecniche della preparazione dei colori, dalle forme dei panneggi al significato dell’oro e al nesso fra le icone e la liturgia della Chiesa orientale. Accompagnati da questa guida incomparabile, possiamo così finalmente varcare le «porte regali» dell’iconòstasi, «confine fra il mondo visibile e il mondo invisibile», luogo dove si manifesta una pittura sublime, in cui le cose sono «prodotti della luce».
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