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Si può fare di un luogo il centro di un evento finalmente realizzato, la misura di una parola che liberi ed alzi al cielo tutta un'angoscia pressata nello sterno, la chiave di una ripartenza fraterna ordinata sulle vere leggi del Libro? E' questo lo sforzo racchiuso in queste pagine, dove la poesia dispiega la sua voce complessa, colta, fra aliti di dediche ricorrenti e sofferta storia personale. Chelm, la città martoriata dal veleno dell'olocausto (dato che quasi tutta la popolazione ebraica della città fu atrocemente sterminata a Sobibór) diventa nella penna di Mandelbaum il teatro della completezza pacifica che ridisegna l'umano, lo ricrea, rovesciandone ogni lascito tragico in armonie semi celesti. Nei suoi versi si il sogno è edificato e ha una volta per tutte mura e giardini, le tavole della legge sono riverite in vera amicizia condivisa: "L'esilio aveva trovato la sua sede,/ l'Esilio diede Chelm alla luce". Un poema bellissimo che sparge petali straordinari sotto le coltri del massacro subito. Una sezione del libro è chiamata Massime/Massiomi/Assiomi/ e in sostanza è una semina di frasi uguali a consigli, ad apologhi, a motti sapienziali: "Il fantasma si nutre di silenzio,/ il fantasma si nutre di fracasso"; oppure: "Quando si fa incline al paradosso/ alla più dritta delle frecce viene un nodo". La Legge e i Commenti sono onorati dando a tutte le tribù della diaspora una loro dignità, un riconoscimento. Tutto incasellato ad arte nello stesso posto, pazzesca impresa degna di un miracolo. Ma la raccolta ospita anche altro, un mormorio di doglie trattenute e un flusso di nere acque di dentro mai placate, ricordi di amici del poeta stesso, Luzi anzitutto o Vanni Scheiwiller , ma anche richiami ad esperienze umane non poco dolorose come Ernst Toller o Cesare Pavese. Un profumo di favola in definitiva sciolto fra tradizioni e costumi salvati dove "poter contemplare con sguardo tranquillo/ quel crocefisso fatto di fiammiferi". Ancora poesia fra stralci di rovina.
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