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«È caratteristico della logica paranoide della censura ritenere che la virtù, in quanto virtù, debba essere innocente e dunque, se non protetta, vulnerabile alle astuzie del vizio».
J. M. Coetzee, uno dei maggiori scrittori sudafricani d'oggi e per lunghi anni voce di libertà in quel tormentato paese, affronta in questi saggi un irrisolto nodo problematico delle coscienze e delle società contemporanee. Quale impulso, vocazione o paura spinge gli esseri umani a costruire nel corso della storia «istituzioni» - sociali e mentali - che alla parola e all'immagine oppongono il divieto, all'arte e alla scrittura impongono il silenzio? Quella della censura è un'infelice «passione» condivisa da schieramenti anche assai distanti, dagli esponenti del più arcigno conservatorismo che processarono per immoralità "L'amante di Lady Chatterley" ad alcuni filoni del femminismo americano in prima fila nella lotta all'industria pornografica. Contemporaneamente Coetzee si interroga su cosa realmente sia il bersaglio prediletto dei censori, la pornografia: un'impresa immorale e violenta, l'espressione di una legittima volontà effrattiva che attiene all'arte e alla cultura, o il paravento di diverse, inconfessabili volontà di coercizione etica e politica? Come fenomeno sociale e culturale la censura appartiene alla vita pubblica, ha una sua storia che percorre i campi dell'estetica e della legge, della filosofia morale, della psicologia e della politica. Ma non è la storia del fenomeno il cuore del libro, bensì l'analisi dei suoi significati culturali più profondi: il gesto punitivo della censura ha la sua origine nella reazione all'offesa, sostiene Coetzee, e la forza di chi si sente offeso risiede nell'assenza di dubbio sulla legittimità della propria reazione; al contempo la sua debolezza si annida proprio nell'incapacità di dubitare di sé. Senza nulla concedere alla violenza dei pornografi, Coetzee oppone alle certezze dei censori le virtù erasmiane del dubbio e della tolleranza.
J. M. Coetzee, uno dei maggiori scrittori sudafricani d'oggi e per lunghi anni voce di libertà in quel tormentato paese, affronta in questi saggi un irrisolto nodo problematico delle coscienze e delle società contemporanee. Quale impulso, vocazione o paura spinge gli esseri umani a costruire nel corso della storia «istituzioni» - sociali e mentali - che alla parola e all'immagine oppongono il divieto, all'arte e alla scrittura impongono il silenzio? Quella della censura è un'infelice «passione» condivisa da schieramenti anche assai distanti, dagli esponenti del più arcigno conservatorismo che processarono per immoralità "L'amante di Lady Chatterley" ad alcuni filoni del femminismo americano in prima fila nella lotta all'industria pornografica.
Contemporaneamente Coetzee si interroga su cosa realmente sia il bersaglio prediletto dei censori, la pornografia: un'impresa immorale e violenta, l'espressione di una legittima volontà effrattiva che attiene all'arte e alla cultura, o il paravento di diverse, inconfessabili volontà di coercizione etica e politica?
Come fenomeno sociale e culturale la censura appartiene alla vita pubblica, ha una sua storia che percorre i campi dell'estetica e della legge, della filosofia morale, della psicologia e della politica. Ma non è la storia del fenomeno il cuore del libro, bensì l'analisi dei suoi significati culturali più profondi: il gesto punitivo della censura ha la sua origine nella reazione all'offesa, sostiene Coetzee, e la forza di chi si sente offeso risiede nell'assenza di dubbio sulla legittimità della propria reazione; al contempo la sua debolezza si annida proprio nell'incapacità di dubitare di sé.
Senza nulla concedere alla violenza dei pornografi, Coetzee oppone alle certezze dei censori le virtù erasmiane del dubbio e della tolleranza.
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