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"Le cose del mondo (…) non si possono fermare con una medesima natura: e queste distinzione e eccezione non si truovano scritte in su' i libri ma bisogna le insegni la discrezione". Questo pensiero di Guicciardini contenuto nei Ricordi riassume bene l'ipotesi interpretativa di fondo che sorregge l'accurata ricognizione di Barbuto. I casi della storia e della politica sono troppo complessi per essere riassunti in una precettistica e in ogni circostanza il politico dovrà regolarsi in base alla sua accortezza. Tuttavia questa connotazione empirica e duttile del pensiero di Guicciardini non è uno scontato richiamo alla classica virtù politica della prudenza ma si connota attraverso precise coordinate storiche e culturali. La sottolineatura della irriducibilità del reale a principi astratti è allora qui riportata giustamente alla concreta esperienza di Guicciardini che era del resto stato testimone della crisi dell'equilibrio tra gli stati italiani.. Inoltre il richiamo all'esperienza non supponeva una scarsa coerenza nell'ideale di governo propugnato. Al contrario Guicciardini fu sempre favorevole a un governo moderato nel quale l'impeto del popolo fosse guidato e corretto dal giudizio e dall'operato dei "savi". Che soli possedevano la capacità di giudicare le mutevoli situazioni che la contesa fra gli stati continuamente presentava. In altri termini la prudenza guicciardiniana è al servizio di una forma di governo ritenuta ottimale. D'altronde l'autore ci ricorda che la lezione guicciardiniana appartiene a pieno titolo alla modernità politica almeno per due ragioni sostanziali. In primo luogo per "la netta separazione fra religione e politica" da lui affermata; in secondo luogo per la capacità di fuoriuscire dall'orizzonte dell'anaciclosi postulando la possibilità con una gestione accorta di prolungare al vita di un organismo politico.
Maurizio Griffo
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