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Chi si occupa di letteratura dovrà fare i conti con la Politica della letteratura di Jacques Rancière, pubblicata da Sellerio con qualche spiacevole svista di traduzione. L'opera raccoglie in tre sezioni (ipotesi, figure e confluenze) saggi e conferenze scritti tra il 2000 e il 2004, attraversati da una nuova definizione di politica e di letteratura, che come un leitmotiv accompagna la lettura di alcuni classici della letteratura di Otto e Novecento. Si hanno letteratura e politica quando chi non ne avrebbe diritto prende la parola, rompendo così i ranghi e le gerarchie che i puristi impongono tra generi alti e bassi e tra soggetti più o meno degni di essere rappresentati.
"Politica della letteratura" non è dunque sinonimo di engagement o di militanza, degli scrittori o della scrittura, ma equivale alla pietrificazione della parola in oggetto neutro, democratico e polifonico, un processo che porta autori come Flaubert e Mallarmé a far progressivamente scomparire dall'opera d'arte il soggetto che scrive "Io". Nel magazzino antiquario in cui si perde il protagonista di Peaux de Chagrin, così come nei dettagli che racchiudono gli amori di Emma Bovary o di Swann, tutti gli oggetti sembrano avere pari dignità, ogni soggetto ha lo stesso diritto di parola, indipendentemente dalla nobiltà della sua origine. Ciò che Sartre e Barthes consideravano estetismo reazionario è per Rancière il primo atto democratico della scrittura, che si affranca dal bellettrismo diventando così "letteratura". Questa nuova scrittura, che "include l'intruso" e corrode la distinzione tra "vita" e "letteratura", si basa sul disaccordo tra ciò che si può e non si può percepire come "reale". Una contraddizione già presente a Flaubert e a Proust, che diviene cruciale nell'epoca dei reality show, spettacoli all'apparenza democratici fatti da "gente comune", che nascondono un sistema di potere nel quale solo pochi eletti hanno una vera voce..
Dopo che sotto l'ampio ombrello del postmodernismo si è fatta strada l'estetica della paccottiglia e del kitsch, si può ancora gestire l'indistinzione tra "arte e non arte"? Per Rancière la risposta è sì, esistono ancora oggi due maniere opposte: quella "buona", praticata da Flaubert, che crea nella tessitura del libro una "democrazia molecolare" di minuscoli eventi effimeri, che infrange la gerarchia tra verità storica e verità romanzesca, e quella "cattiva" scelta da Emma, che porta la confusione tra realtà e finzione nella propria vita. Per questo ogni Bovary dev'essere uccisa: per difendersi dall'isteria contagiosa di chi confonde la politica della letteratura con la schizofrenica perdita del senso di realtà. Tra i cultori di questa "buona maniera" Rancière colloca Tolstoj, Brecht, Mallarmé e anche Borges, che puntava dritto al cuore della contraddizione creando un narratore che è solo un sogno dei propri personaggi, personaggio egli stesso della propria storia. Si arriva così alla confluenza più interessante, quella tra letteratura e storia: nel confine indecidibile tra storia e narrazione si annida il conflitto e l'aporia più indiscernibile, quella tra verità e finzione. Bisogna stare attenti perché è un crinale pericoloso, dove la storia può essere falsificata, ma che vale la pena scalare.
Stefano Moretti
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