Aimeric de Peguillan, trovatore vissuto a cavallo dei secoli XII e XIII, è un tipico rappresentante della svolta professionistica della poesia trobadorica, dopo le grandi generazioni dei poeti fondatori di quasi un secolo di tradizione precedente. Aimeric, di famiglia borghese di Tolosa, è costretto ad andarsene, secondo l'antica biografia anonima, per una faccenda di cuore (o meglio di corna) con una signora della città, con relativo scontro, polemico e fisico, con il marito beffato e il ferimento di quest'ultimo. Quale che sia la ragione, Aimeric si sposta prima in Catalogna e Aragona e poi in Italia settentrionale, presso varie corti (Monferrato, Este, Malaspina), che a quel tempo accoglievano con entusiasmo i maestri di una poesia e del suo corredo di galanterie e raffinatezze al culmine della moda. Poeta aulico, in Italia Aimeric vive della sua poesia e reagisce con indignazione all'inevitabile proliferazione di poetastri e giullaretti, ruffiani e arrivisti (fra cui un giovane Sordello): egli è infatti un maestro del trobar, anche se non dovevano essere molte le differenze nello stile di vita con quelli che criticava ma con i quali intrecciava anche composizioni spiritose. Siamo di fronte a una sorta di rhétoriqueur e giullare insieme, secondo un'azzeccata formula critica, che fa della grandiosità stilistica la cifra del suo valore, come riconosceranno ancora Dante e Petrarca, del cui gusto dobbiamo in fin dei conti fidarci. Anche perché quella di Aimeric è una poesia lontana non solo dalla sensibilità lirica moderna, ma anche da quella fortemente ideologica e pregna di valori culturali che informava la poesia trobadorica delle origini. Aimeric ha comunque delle responsabilità anche nei confronti della nascente poesia italiana, a cui ripropone un modello cortese ormai giunto al termine ma tecnicamente interessante e ricco di suggestioni per quello che di lì a poco nascerà in Italia. Walter Meliga
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