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recensioni di Valtolina, A. L'Indice del 2000, n. 04
Che ogni nuova traduzione rappresenti un passo ulteriore verso la redenzione di Babele lo si può oggi sostenere ancora soltanto in una prospettiva filosofica à la Walter Benjamin, visto che le regole del mercato editoriale a tutto obbediscono fuorché al destino messianico della lingua umana. Resta pur vero, tuttavia, che ogni nuova traduzione di un'opera letteraria non solo ripropone in maniera diversa quesiti sul rapporto delle lingue fra loro, ma a questi aggiunge altre prospettive di lettura dell'opera, altri scorci interpretativi.
Nel segno di una rilettura del mondo poetico di Trakl sembra esser stato concepito il volume Poesie che, nell'attenta e rigorosa cura di Grazia Pulvirenti, propone le due uniche raccolte pubblicate in vita da Georg Trakl insieme a un gruppo di liriche apparse negli ultimi suoi mesi di vita sulla rivista "Der Brenner" tutte tradotte in italiano da Enrico de Angelis, con l'indispensabile ausilio per il lettore del testo a fronte. Fulcro di questa nuova lettura è la volontà di scardinare il cliché di poeta maledetto nel quale Trakl è stato confinato, per meglio dare risalto a quella riflessione sull'essere e il sacro che le sue poesie approfondiscono - e che ispirò a Heidegger un saggio fra i suoi più adamantini.
Di là dalla vita bruciata fra il 1887 e il 1914 nel senso di colpa per il rapporto incestuoso con la sorella e nel torpore della morfina e dell'alcol, fino al suicidio consumato mentre anche l'Europa moriva sul fronte della prima guerra mondiale, l'opera di Trakl testimonia di un destino di poeta sentito sì come "espiazione", ma non in semplice senso autobiografico, bensì in quel più vasto e tormentato significato umano che prima di lui conobbe l'Empedocle hölderliniano, sicché l'intera sua poesia - ricca di riferimenti a questo predecessore d'elezione - si connota come una moderna risposta alla domanda di Hölderlin sulla ragion d'essere dei poeti nel tempo della miseria. Se è dunque vero, come osserva Pulvirenti, che "il cosmo trakliano è chiuso in se stesso, il paesaggio non conosce sconfinamenti ed è tratteggiato da un chiaroscuro di ombre di muri in rovina, staccionate e canneti", questa claustrofilia, più che rispecchiare un'ossessione biografica, risponde a un preciso disegno poetico: il paesaggio di Trakl si dà una volta per tutte, si ripete di poesia in poesia con i suoi colli, le falci dei mietori, i frutti e le stoppie, i muri cadenti a dar figura a un silenzio che il poeta cerca di colmare di senso. Così, colui che bevve "il silenzio di Dio alla fonte del bosco" assume su di sé il compito di restituire, nella metamorfosi della parola, la voce sacrale di questo silenzio.
È infatti un poeta della metamorfosi, Georg Trakl - non in senso orfico-romantico e neppure in senso simbolista. Una singolare forza espressiva ed espressionista lavora nel sottosuolo dei versi affinché quel paesaggio sempre uguale a se stesso, ripetitivo come i cicli della natura, diventi luogo di rivelazione del sacro - come nella poesia Kindheit (Infanzia) che apre la raccolta Sebastian in Traum (Sebastian in sogno), dove le metamorfosi della parola "blau" (blu ovvero azzurro) segnano un cammino verso l'irruzione del sacro nel tempo, irrimediabilmente assoluto, della miseria. Gli dei avranno anche abbandonato la Terra, eppure ancora la voce del poeta non rinuncia a evocarli.
A questo sforzo, che culmina in un "astrattismo stilistico", Trakl piega, soprattutto negli anni maturi, ogni struttura e componente del verso poetico, secondo leggi inaudite di dissonanza, in un legato musicale più vicino a Schönberg che a quelle composizioni simboliste la cui scoperta fu tanto decisiva per i suoi esordi. Complesse strutture strofiche articolano il senso fra ambiguità e allusioni diffusamente decifrate da Pulvirenti, che analizza ogni singola poesia con preziosi rimandi a saggi critici indicati per esteso nell'aggiornata bibliografia che conclude il volume.
Tutto questo per meglio consentire l'accesso, ancorché da una porta di servizio, a una poesia refrattaria alla traduzione. Non semplicemente refrattaria per l'ovvia difficoltà di ricreare in italiano le rime interne, le assonanze, le germinazioni di significati che s'intrecciano nel verso trakliano, e neppure, altrettanto ovviamente, per l'intraducibilità di quel respiro profondo della lingua poetica che ha da essere ricreato, più che tradotto. A rendere ancor più ardua la sfida del traduttore è la vocazione metamorfica di questa poesia, che cresce su se stessa a volte per trasmutazione di fonemi, come in Geistliches Lied (Canto spirituale), a volte per ricontestualizzazione di una medesima parola. E spesso, questa parola, è l'intraducibile "blau": termine che, nella tradizione poetica tedesca a partire da Novalis, cifra l'essenza stessa della poesia nel suo pendolo fra la chiarità azzurra della rivelazione e l'oscurità notturna del mistero - due estremi perfettamente confusi nella parola tedesca, fra la a, vocale chiara, e la u, vocale scura, mentre in italiano irrimediabilmente si disgiungono in "azzurro" e "blu".
Anziché lasciarsi guidare dalla tensione liri-
ca, come fece a suo tempo Ida Porena nella traduzione apparsa da Einaudi, de Angelis sembra aver prescelto un registro espressionistico, teso a rendere più incisivo il profilo dei paesaggi trakliani, più evidenti i valori di dissonanza, lasciando al testo originale l'evocazione dell'ineffabile voce poetica. Decisione che, pur con tutti i suoi pregi, rischia a volte di coartare in un'immagine ciò che all'immagine invece sfugge, come in Grodek, considerata il testamento spirituale di Trakl, dove l'allusione sacramentale dell'originale tedesco "die heiße Flamme des Geistes" (letteralmente "l'ardente fiamma dello spirito") si estingue nella pur vivace immagine della "fiamma bruciante del cuore".
Ma, si diceva, ogni traduzione propone nuovi enigmi...
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