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Questi scritti su Hölderlin, da molti considerati uno dei vertici dell’opera di Heidegger, nascono da «una necessità del pensiero». Non si tratta, per Heidegger, di dare «un contributo alla ricerca storico-letteraria o all’estetica», ma di testimoniare ciò che qui viene definito «colloquio pensante». Attraverso Hölderlin si pone la questione della essenza della poesia e di come il pensiero stesso, nel suo gesto ultimo, si apra appunto su quell’essenza. L’intera opera di Hölderlin conduce verso quel misterioso passaggio. E in questo senso si può dire che «la poesia di Hölderlin è per noi un destino». Qualcosa si dice, in quella parola, che in nessun altro luogo è apparso con tale evidenza, spoglia e definitiva: «Che cosa dice la poesia di Hölderlin? La sua parola è: il sacro. Questa parola dice della fuga degli dèi. Dice che gli dèi fuggiti ci risparmiano. Fino a quando siamo convinti, e capaci di abitare nella loro vicinanza».
scheda di Bonola, M., L'Indice 1989, n. 5
Questo volume apre un capitolo essenziale del pensiero di Heidegger, ancora quasi totalmente inedito per il lettore italiano. Esso traduce infatti l'edizione ampliata (1981) di un'opera del 1944 ("Delucidazioni sulla poesia di Hölderlin*) al cui interno ritroviamo l'esito di trent'anni di letture e interpretazioni hölderliniane comprese tra il 1936 e il 1968. Questi saggi illustrano in modo esauriente l'affascinante e complesso itinerario del rapporto tra Heidegger e Hölderlin, lasciando trasparire altresì, in modo assai più sfumato, il problematico rapporto tra pensiero filosofico ed esperienza poetica del linguaggio. Sullo sfondo di una radicale contrapposizione tra il linguaggio della poesia ed i "linguaggi impoetici" espressioni del declino dell'autenticità della parola nella dimensione del dominio appare ad Heidegger l'intuizione di un "destino" del mondo contemporaneo, l'enigmatica cifra della situazione spirituale del nostro tempo. È il destino di un tempo di privazione esperito sotto il segno dell'assenza degli déi, ma anche della necessità di rimanere nella vicinanza di questa assenza, di custodirne il significato contro l'oblio della reificazione totale della parola. Soltanto il linguaggio infatti può costituire il luogo dell'evento dell'essere.
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