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Queste prose degli anni ’80 (anni ribollenti di inquietudini, eccessi, trasgressioni), con la loro rabbiosa focosità, continuano a incuriosire e affascinare il lettore di oggi, pur nella loro esibita intemperanza, aggressiva ostentazione. Il volume si divide in tre sezioni: nella prima sono raccolti articoli di critica letteraria, la seconda riflette sul tema dell’impresa e dell’azione eroica individuale, la terza attraversa l’universo del pensiero indiano, con le sue seduzioni e ansie di assoluto. La parte iniziale ci presenta una ventina di interventi che spaziano dagli omaggi ai poeti più amati alla rilettura dei miti greci, dalle considerazioni su diverse espressioni dell’esistere alle pieghe/piaghe delle moderne mode culturali: sempre privilegiando ciò che, innalzandosi dalla piattezza del reale, lo divora e lo rigetta. La visionarietà fremente dell’autore si traduce in una prosa secca, basata su un lessico inventivo e disorientante, con giudizi trancianti e alteri, in sintonia con l’idea principe di una letteratura assoluta, di un’arte che pretende l’inabissamento o il volo, di una poesia che si fa destino, oppure non è. Nella sua intensa e ammirata postfazione, Lorenzo Chiuchiù scrive: “Per De Angelis la bellezza getta l’esistenza sulla soglia di un pericolo, conduce l’anima dove l’irrevocabile sembra ricapitolare nell’istante il senso o lo scacco delle vite”. Feroce nel suo odio per la calligrafia, l’estetismo, l’intrattenimento, la compassione, la commozione, la retorica, Milo De Angelis persegue l’obiettivo di riscoprire ed evidenziare quanto la parola – la parola poetica, dell’inconscio e dello scavo interiore ‒ abbia il potere di modificare il destino di un individuo e di una collettività.
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