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Anno edizione: 2015
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Ho letto dopo la maturità nel 1985 Storia del partito armato, qui viene riproposto lo stesso libro allungando il brodo. Galli si avvita su se stesso quasi dispiaciuto nei capitoli sul "vuoto" dopo il 2002 che in Italia non si sia più sparato. Mi ricorda il più giovane Travaglio che finito Berlusconi non sa più di chi scrivere male. Ci sono libri migliori sul tema
Si libro approfondito e riguardante uno dei più tragici periodi della nostra storia recente.
Interessante, documentato, ben scritto. Questo ruolo di stop and go attribuito allo Stato nello Stato, ovvero l'apparato dei servizi, è inquietante, ma nel libro rimane un'ipotesi, a tratti verosimile, probabile, ma, mi pare, non sufficientemente provata da riscontri (nomi, fatti, sentenze, processi, etc.). Se Galli ha ragione su questo punto fondamentale, sulle "arti infernali" di Kant che cita e di cui si serve come filo logico nel testo, bisognerebbe farsi alcune domande ulteriori, più in profondo. Da leggere, criticamente, ma certamente da leggere.
Recensioni
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La tesi di fondo dell'autore di questo libro, Giorgio Galli, noto politologo e saggista, è che la lotta armata in Italia abbia avuto vita lunga per due precise ragioni concomitanti, spesso considerate separatamente da osservatori e studiosi. Capire la sua storia è impossibile senza capire a fondo chi l'ha combattuta, come e con quali fini. Se da un lato, infatti, il progetto rivoluzionario brigatista ha goduto nei primi anni Settanta di un certo consenso, poi estintosi col mutare delle condizioni del Paese, dall'altro lato è sopravvissuto per tanti anni grazie alla «lentezza» dell'azione repressiva dei servizi di sicurezza che, come il libro documenta ampiamente, sin dal 1972 potevano debellare ogni nucleo armato. Finite le Br storiche, oggi ci si può chiedere: com'è possibile che poche decine di irriducibili mal organizzati, peraltro già noti da tempo ai servizi, abbiano potuto assassinare D'Antona e poi Biagi, lasciato senza scorta malgrado le minacce risapute? E poi, è solo un «caso» che gli omicidi più eclatanti siano coincisi con momenti delicati della dinamica economico-politica del Paese (per ultimo quello Biagi, piovuto come una bomba sullo scontro governo-sindacato per l'articolo 18)? Sempre e solo all'arbitrio del caso si deve una lunga scia di morti strane e «suicidi» (come quello del perito informatico che aveva scoperto la provenienza della mail di rivendicazione dell'omicidio D'Antona)? Bisogna credere alla inettitudine dei guardiani della «sicurezza democratica», oppure è lecito pensare che certi uomini-chiave sanno quando agire o lasciar fare secondo una propria logica di potere interno alle istituzioni? Se poi si considera che dai tempi di De Lorenzo a oggi i servizi, a vari livelli, sono stati coinvolti in quasi tutte le stragi fino al caso Ilaria Alpi, l'ultima ipotesi non sembra poi tanto peregrina. Per offrire un ordine, dunque, a questo labirinto di misteri e reticenze che è la nostra storia recente, Galli parte dal piano delle testimonianze (di ex brigatisti, politici e magistrati), lo confronta con quello dei dati puri (particolari mai chiariti in più omicidi, scandali e retroscena politici) e li intreccia nelle tappe di un dibattito storiografico che non ha ancora trovato il giusto distacco da una materia incandescente, che continua a inquinare il presente.
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