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Il prof. Pasquale Giustiniani è ordinario di Filosofia presso la sezione “San Tommaso d’Aquino” della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. L’inizio dell’alchimia latina medievale si pone nel 1144, l’anno in cui venne tradotto in latino dall’inglese Roberto di Chester la prima opera di alchimia, il Liber de compositione alchimiae di MORIENO ROMANO. Non è semplice dire quali rapporti ci siano stati tra la scienza alchemica e la religione cattolica. Una leggenda narra addirittura che San Domenico, grazie all’ispirazione divina, riuscì a scoprire il segreto della pietra filosofale, segreto che sarebbe stato tramandato poi ad Alberto di Bollstadt, noto come Alberto Magno. A San Tommaso sono stati attribuiti numerosi libri che trattano di alchimia, i più famosi dei quali sono l’Aurora consurgens, il Trattato della Pietra Filosofale, e il Trattato sull’Arte Alchemica dato a Frate Reginaldo. Alla luce di un’analisi filologica più attenta, però, queste opere sono risultate quasi tutte apocrife e scritte anche parecchi decenni dopo la morte del Doctor Angelicus. Tuttavia nel 1317 l’Alchimia fu duramente condannata da papa Giovanni XXII, con la bolla Spondent pariter che prevedeva pene pecuniarie per i laici che praticavano l’Alchimia; i sacerdoti rei dello stesso crimine avrebbero inoltre perso «i privilegi dell’abito». Anche se non è più attribuibile a Tommaso d’Aquino, il trattato La pietra filosofale s’inserisce alla perfezione in quel complesso mondo basso medievale che, se da un lato approfondisce alcuni filoni della scienza naturale antica, dall’altro prelude alla scienza moderna. L’Introduzione di Carmela Bianco è un’ottima premessa al contesto socio-politico dello scritto, che sottolinea anche i rischi per la vita morale che potevano derivare dalla pratica dell’alchimia. [Aniello Clemente in Asprenas (Rivista di Teologia della PONTIFICIA FACOLTA TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE SEZIONE SAN TOMMASO D’AQUINO di Napoli), 4 (2020), 570-571].
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